La Lega sprofonda, il congresso si avvicina. Pressing su Zaia
Mai sottovalutare i segnali. Domenica 20 novembre, attorno alle 20.45. Luca Zaia sta per comparire sugli schermi di Che tempo che fa, il programma di Fabio Fazio. Presenta il suo libro, che per molti assomiglia a una promessa di discesa in campo nell’arena nazionale. In quegli stessi secondi, Matteo Salvini interrompe il suo giorno di riposo. Accede ai social dal suo iPhone. E scandisce: “Via il canone Rai. Pagarlo per guardare i Fazio o i telegiornali di sinistra, anche no…”. Attacca proprio Fazio. Atto ostile, smaccatamente ostile, chirurgico. Sgarbo verso il collega, palese. E segnale, appunto, di una battaglia furibonda che sta spaccando la Lega e fatica a restare sopita. In palio c’è la nuova leadership. L’eventuale ascesa alla segreteria del governatore veneto. E un congresso che nei piani dei leghisti in ascesa potrebbe tenersi entro la prima metà del 2023.
Un passo indietro
Da quando Giorgia Meloni è in carica, la Lega è in subbuglio senza soluzione di continuità. Pesa il pessimo risultato delle Politiche. E i sondaggi che, dal 26 settembre, funestano via Bellerio. L’ultimo di una lunga serie negativa, quello di Swg di poche ore fa, inchioda il Carroccio ad un mortificante 7,6%. Dietro il Terzo Polo. Con Fratelli d’Italia accreditata al 30,4%, il quadruplo esatto del consenso di Salvini. Abbastanza da far scattare l’allerta massima tra i leghisti.
C’è chi vuole l’uomo nuovo al comando
È una dinamica inarrestabile. E non è soltanto per il ruolo poco visibile del leader, ministro in ombra nell’esecutivo. Il problema è che i principali dirigenti del partito considerano il segretario ormai poco in sintonia con il suo popolo. Nessuno ancora si espone, ma la spaccatura è profonda. C’è chi si tiene a debita distanza dal capo, chi costruisce sponde alternative, chi aspetta solo la stagione congressuale per aprire una nuova fase. I nomi sono sempre gli stessi. Zaia, ovviamente. E ancora, si fa spazio nel partito il Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Max Fedriga. E poi Riccardo Molinari, che per volere di Salvini è rimasto fuori dalla corsa per la presidenza della Camera.
Il caso Giorgetti
Un capitolo a parte vale per Giancarlo Giorgetti: è il ministro più potente, più esperto, più attento a non spezzare equilibri delicatissimi. Ma assume un valore politico importante il rapporto sempre più stretto con Meloni, che ha affidato a lui la casella più delicata dell’esecutivo. In cima alla piramide dei papabili alla successione c’è comunque proprio Zaia. Fosse per lui, non ci sarebbero dubbi: avanti ancora per molto alla guida del Veneto. O, almeno, così ripete a molti. I suoi, però, lo pressano. Insistono. E alla fine potrebbero “costringerlo” a scendere in campo. Rendendo la leadership del Carroccio contendibile, dopo molti anni di guida salviniana.
Borghi
Il percorso congressuale è già partito, ma con una tempistica lentissima. Alcuni congressi cittadini e provinciali si sono già svolti, lasciando prevedere il peggio proprio per il leader. A Bergamo, ad esempio, si è registrata la sconfitta del segretario. “Ma i due contendenti – allarga le braccia il senatore Claudio Borghi – erano entrambi “non salviniani”…”. La verità è che Salvini cerca di consolidare la sua posizione nel governo. E soprattutto, cerca di allontanare il più possibile la resa dei conti. La battaglia si combatte soprattutto sul terreno dei congressi regionali. Dovevano tenersi a gennaio, i big del Carroccio spingono per rispettare le scadenze. Forse anche per questo, Salvini ha riunito ieri i parlamentari alla Camera. “C’è entusiasmo – ha detto – i militanti sono contenti e la Lega è in crescita”. Si fa così, quando il pessimismo sta per prevalere. Un passaggio chiave è previsto già per venerdì. Il leader ha convocato al riunione del Consiglio federale proprio per discutere di assise e tesseramento. La resa dei conti si avvicina.