L’autonomia sul tavolo di Conte
L’autonomia a Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna sotto l’albero di Natale, come annunciato da Salvini e Di Maio? A mantenere la promessa ci prova il ministro Erika Stefani che, appoggiata dal leader della Lega, oggi porterà all’esame del consiglio dei ministri i dossier con le proposte delle tre regioni, come previsto dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. Tutto è pronto, manca solo la firma del premier Giuseppe Conte.
In realtà, la bozza d’intesa del Veneto è stata depositata il 2 ottobre a Palazzo Chigi ma non si è fatto un passo in avanti perché i ministri del M5S non hanno risposto alle richieste della Stefani, che ha inviato loro i dossier. A frenare sono Giulia Grillo (Sanità), Danilo Toninelli (Infrastrutture), Alfonso Bonafede (Giustizia), e poi il plenipotenziario Luigi Di Maio, vicepremier con le sue super deleghe al Mise e al Lavoro. Se a parole il M5S intende rispettare il voto del referendum 2017, nei fatti accetta i diktat della burocrazia romana per nulla convinta di trasferire le competenze alle Regioni. Che si tratti di una rivoluzione istituzionale non c’è dubbio: questa è la fase 2 del federalismo nato dalla riforma Bassanini-Amato del 2001 e con il “lodo” Bressa sull’autonomia differenziata per gestire le 23 materie concorrenti su cui Stato e Regioni spesso litigano sull’attribuzione dei poteri.
Erika Stefani è più determinata che mai, sostenuta da Salvini e dai governatori Zaia, Fontana e Bonaccini che vogliono chiudere l’intesa dopo un anno di trattative avviate prima con il governo Gentiloni e poi con Conte. Nelle sue interviste, la Stefani ha ribadito che «il tema delle autonomie è assolutamente trasversale e tecnico, sul quale non deve intervenire nessuna forma di ideologia. In questo ultimo anno c’è stato un clima che ha creato una forma di accelerazione e di autonomia si è parlato tanto.
Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna hanno firmato le preintese a febbraio e la stessa richiesta è arrivata da Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria e Marche. Quindi siamo di fronte a un vera rivoluzione istituzionale e non si tratta solo di un sentimento identitario, ma di uno strumento per migliorare la performance delle amministrazioni pubbliche. Tuttavia debbo riconoscere che le velocità della politica e della legislazione su questo tema sono diverse: la politica è una ruota velocissima, mentre l’autonomia avrebbe bisogno di anni di elaborazione e costruzione».
La promessa di Salvini e Di Maio sull’autonomia “regalo di Natale” si scontra con i tempi dettati dalla finanziaria, riscritta a Bruxelles con il deficit/pil al 2,04%, da approvare entro l’anno con due voti di fiducia a Camera e Senato. Il dossier “federalismo-regionale” corre quindi su un binario parallelo e sconta le tensioni e il braccio di ferro tra Lega e M5S sulle cifre della manovra, ma domani il premier Conte dovrà rispondere non solo al ministro Stefani ma ai tre governatori che quindici giorni fa lo avevano invitato a “fare in fretta” con una lettera ufficiale. La firma ha un valore importantissimo perché dopo il via libera di Conte e Zaia, l’intesa verrà inviata a Camera e Senato che non potranno modificarla. I numeri per la maggioranza assoluta ci sono: non solo Lega e M5S ma anche Pd. Cosa cambia? Nulla per i primi 5 anni. Si parte dalla spesa storica per arrivare ai fabbisogni e ai costi standard. Ma a decidere le graduatorie degli insegnanti saranno i provveditorati di Veneto e Lombardia e non più il Miur.
C.C.