triveneto

Io e il cibo. La cucina vista e “assaggiata” dal maestro Aldo Andreolo

A cura di Aldo Andreolo

«Con la tavola ho un rapporto aperto, senza diffidenza, e mi la­­scio facilmente tentare da lusinghe gastronomiche ine­di­te». Così scrivevo nel 1990 per Anna Baldi, vivace e curiosa gior­nalista bo­lo­gnese che, nel suo libro “A tavola con …”, rac­coglieva le testimonianze sul cibo e sulla cucina (ri­cet­te, vizi e virtù) di un centinaio di vip. Nel fitto elenco di personaggi, più o meno illustri, selezionati dal­l’au­tri­ce, il mio nome figurava, grazie a un rigoroso ordine al­­fa­be­­tico, ­tra quelli di Giorgio Albertazzi e Giorgio Ar­ma­ni ma non mancavano altri artisti, fra cui Luciano Minguzzi e Re­na­to Guttuso.

Come mio piatto preferito proponevo allora le “Sar­de in saor”, che sostituirei ora, senza tradire la mia pre­­­dilezione per il pesce, soprattutto quello dell’A­dria­ti­co, con il “Fritto de sfogeti” (Frittura di so­glio­let­te), una mia fortunata, recente “riscoperta”. Per il resto, benché sia­no trascorsi da allora quasi trent’anni, il mio rapporto con la tavola è rimasto sostanzialmente lo stesso.

Confesso che, parlando di cibo e di cucina, preferirei ri­spon­­dere a domande precise e circostanziate, anziché esi­bir­mi in esternazioni, che assomigliano a “confessioni” di estrazione vagamente psicanalitica, ma probabilmente è que­sto il metodo più efficace per raggiungere l’obiettivo, che an­che Anna Baldi si pre­­fig­ge­va col suo libro, ossia di­mo­stra­re la fon­da­tez­za del proverbio “Dimmi come mangi e ti dirò chi sei”.

Premesso che non so cucinare (al massimo riesco a preparare  due uova al tegamino), la mia scheda di (mo­de­rato) “man­gia­to­re” potrebbe essere attualmente la se­guen­te: «Aldo An­dreo­lo, pittore, pubblicista, scrittore, è nato a Venezia. Sog­get­ti ricorrenti nelle sue nature morte: mele, car­­ciofi, pan­nocchie. Nel 2017 ha pubblicato il libro Il cibo dipinto, bre­­ve storia illustrata della pittura del cibo dalla prei­sto­ria alla pop art. Ama la tavola e le conviviali con ami­ci, otto commensali al massimo, tavolo rotondo in maniera che tut­ti possano conversare tra loro. Piatti rigorosamente bian­chi e tondi, bicchieri non colorati. È onnivoro ma pre­fe­risce il pesce alla carne. Ama i primi piatti della cucina tra­­dizionale veneziana, anche quelli “poveri”, come la “Pa­sta e fagioli” e i “Bigoli in salsa, per non parlare del mi­tico “Risoto de go”. Non beve Pro­sec­co. Pre­fe­risce vini “fer­mi”, come il Soave e il Valpolicella ma ha una passione se­greta per il Lugana, “scoperto” molti anni fa leggendo Ve­ro­nelli e consumato felicemente più volte in loco. Non beve tè. Caffè, sempre ristretto, non più di due volte al giorno. Fa parte dell’Accademia Italiana della Cucina».

Sono convinto che il rito attuale della tavola con­ser­vi trac­ce di lontane ascendenze magiche e religiose e che per­tan­to debba essere considerato, più che un semplice atto vi­ta­le, un importante fenomeno culturale.

Non è un caso, infatti, che sia stato  uno scrittore, Orio Ver­­gani, a fondare nel 1953 l’Accademia Italiana della Cu­ci­na, con l’intento di «salvaguardare, insieme alle tradizioni del­la cucina italiana, la cultura della civiltà della ta­vo­la, espressione viva e attiva dell’intero Paese».

 

Aldo Andreolo pittore e autore del libro “Il cibo dipinto”

Back to top button
Close
Close