Cagliari. 50 anni dal sogno diventato realtà
Come si dice? “Io c’ero”. Io c’ero all’Amsicora quell’aprile di 50 anni fa, quando il Cagliari conquistò il suo scudetto e il cielo si riempì di palloncini rossi e blu e la folla invase il campo con una felicità mai vista. Era la prima squadra da Roma in giù a vincere, infranse un tabù, mise in fila le grandi abituate a far incetta con ingordigia di scudetti: la Juventus, l’Inter, il Milan… Non che fosse una sorpresa, il Cagliari cresceva da anni, il campionato precedente aveva sfiorato il titolo andato alla Fiorentina. L’anno dopo, quando era in testa, avrebbe perso per molti mesi il suo uomo-gol, spezzato da un terzino killer austriaco a Vienna, in una partita della Nazionale.
Il Cagliari fa la storia
Non fu una sorpresa, ma fu una grande storia. Ci sarebbero voluti molti anni perché lo scudetto andasse a una provinciale, da Verona alla sponda sampdoriana di Genova, e sempre in campionati con arbitraggio a sorteggio. Il che qualcosa insegna.
La macchina perfetta e Rombo di tuono
Quel Cagliari era una macchina perfetta, costruita nel tempo con cura, ogni pezzo si incastrava perfettamente. Sotto la guida intelligente e sorniona di Manlio Scopigno, con una dirigenza non sprecona ma non ossessiva costituita dal presidente Rocca e dal vice Arrica che è l’uomo totale, la squadra non perde un colpo. Ha fuoriclasse assoluti in formazione, Scopigno scopre il talento anche nei faticatori di professione, cambia di ruolo alcuni e si inventa, ad esempio, un libero straordinario in Cera. L’andata all’Inter di Boninsegna ha liberato ancora di più la potenza di Riva e portato a casa Domenghini e Gori: il primo copre la fascia come sanno fare pochi, è il collante; il secondo apre spazi al goleador. La difesa è a prova di bomba, la più ermetica: appena 11 reti subite. L’attacco arriva a quota 42, la metà sono di Riva che è anche il capocannoniere. Due sole sconfitte, 17 vittorie su 30 partite.
Il grande Cagliari
E’ una formazione senza difetti: un grande portiere specie tra i pali, Enrico Albertosi; il vecchio terzino Mario Martiradonna che ha accompagnato la difesa dalla promozione in A allo scudetto (sono in quattro a rappresentare la scalata: oltre lui, Cera, Greatti e Riva); il giovane Giulio Zignoli a coprire la sinistra; Giuseppe Tomasini mediano e all’occorrenza difensore tuttofare; Comunardo Niccolai, stopper, un ragazzo toscano preso dalla vicina Torres e lanciato in prima squadra; Pierluigi Cera inventato libero con un’intuizione dell’allenatore e destinato a primeggiare nel ruolo. In avanti: all’ala destra Angelo Domenghini arrivato dall’Inter per qualche dissapore col nuovo tecnico; Claudio Olinto de Carvalho detto Nenè, un brasiliano scartato troppo in fretta dalla Juventus, piedi ottimi, intelligenza tattica superiore e anche un gran tiro. Al centro il giovane Sergio Gori; con la maglia numero dieci un friulano che si sente poco ma si vede tanto, uno con un nome risorgimentale, Ricciotti Greatti. E a sinistra lui, Gigi Riva o “Giggirriva” tutto attaccato come lo chiamano i tifosi sardi. “Rombo di tuono”, come lo ha battezzato Gianni Brera per il suo tiro devastante. A completare la rosa altrettanti titolari: il terzino Eraldo Mancin, viene dalla Fiorentina campione, mette insieme due scudetti di fila; l’interno Mario Brugnera, prezioso come rifinitore e anche sotto rete; Adriano Reginato, portiere di riserva: Scopigno lo farà entrare a Torino nel secondo tempo dell’ultima di campionato. Albertosi era sempre in campo, 30 presenza di fila, una in più di Cera, due in più di Domenghini e Riva.
Scopigno e il “suo” Cagliari
E poi Scopigno detto il “filosofo”, flemmatico ma non distaccato, nel corso del campionato sconta cinque mesi di squalifica per aver insultato un guardalinee a Palermo. Capace di sdrammatizzare, quel Cagliari è il suo, anche per spirito, per ironia, per senso del dovere. Una volta sorprese i suoi giocatori di notte a giocare a poker, bere whisky e fumare. C’era una nuvola di fumo che avvolgeva il tavolo, Scopigno entrò in punta di piedi, prese una sigaretta e chiese: “Do fastidio se fumo?”. Fumavano in tanti, Albertosi diceva: “Io posso, non devo correre”. Un’altra volta li sorprese che banchettavano a pane e salame, domando: “Avete dimenticato il vino?”. Niente avrebbe spezzato l’unità di un gruppo convinto di vincere, che prima della partita andava a pranzo nel solito ristorante nel centro storico di Cagliari e si ripeteva dopo il caffè che nessuno li avrebbe battuti. Sapevano scherzare, come quella volta che Zignoli si ritrovò col suo letto in giardino portato giù dal secondo piano.
Il simbolo. Sardo più di tanti altri
Riva è il Cagliari. Questo lombardo di lago, ombroso, silenzioso, è capace di prodezze sino ad allora mai viste: certo fa tutto col sinistro, Scopigno diceva che il destro gli serviva per salire sul tram; ma ha un tiro potente e preciso, è forte in acrobazia, ha un’elevazione da cestista, ha coraggio, si butta di testa anche a un palmo dall’erba, non tira mai la gamba indietro. Uno che rifiuta i miliardi di Agnelli e la grande squadra, per restare in quella che ormai considera la “sua” Sardegna. Stupisce che molti di loro siano rimasti nell’isola anche a fine carriera, che qualcuno ci sia tornato dopo altre esperienze calcistiche. Alcuni, a incominciare da Riva, ci vivono ancora. Tanti sono andati in pensione dal vecchio mestiere del dopo calcio: distributore di carburante, agenzia di assicurazioni, impresa di costruzioni. Il tempo non conosce favoritismi, qualcuno in questi cinquant’anni non ce l’ha fatta a esserci per la festa dello scudetto.
Una regione sotto una sola bandiera
I tifosi ne hanno fatto i loro idoli, se c’è una cosa certa è che quel Cagliari in quel momento rappresenta tutta la Sardegna. Forse è la prima vera cosa bella di un popolo a chiudere un decennio poco fortunato, massacrato dalla mancanza di lavoro e dal superlavoro, invece, del banditismo. Nascono le leggende, dicono che Graziano Mesina, il famoso bandito, durante la latitanza scendesse dal Supramonte all’Amsicora per vedere Riva giocare. Solo storie, non coincidono i tempi: quando il Cagliari vince lo scudetto, Mesina è in carcere e sotto processo per un conflitto a fuoco con morti. E’ vero, invece, che il giorno dello scudetto in curva ci sono due latitanti per una serie di furti, li arrestano sulle gradinate aggiunte per l’occasione, fatte sui tubi Innocenti. Intercedono Riva e Walter Chiari grande tifoso perché – sia pure in manette – venga concesso loro di assistere alla festa. Tutto documentato dalle fotografie dei giornali sardi.
Cagliari e NordEst
Fu una stagione irrepetibile. Il Nordest ha dato una mano, non solo perché il successo fu preparato dal precampionato di Asiago, ma anche perché sei giocatori venivano direttamente da Veneto e Friuli: il trevigiano Reginato, il veneziano di terra Mancin, il veneziano di mare Brugnera, i veronesi Cera e Zignoli, l’udinese Greatti.
La partita più bella della storia
Quando il ct Ferruccio Valcareggi fece la lista dei 22 da portare in Messico per i mondiali del 1970 c’erano sei calciatori del Cagliari per quella che sarebbe stata una grande Nazionale: la stessa dello storico 4-3 alla Germania che non finiva mai e della finale persa per sfinimento ma anche perché quello era forse il più grande Brasile della storia. In maglia azzurra c’erano: Albertosi e Riva ad aprire e chiudere la formazione, e Cera, Domenghini, Gori e Niccolai. A dimostrazione che quel Cagliari era molto di più di una provinciale che aveva vissuto il suo momento di gloria.
Il ricordo di quel Cagliari
Io c’ero, li ho conosciuti tutti per lavoro, con qualcuno ho anche giocato assieme per beneficenza, capitava che calciatori e giornalisti e anche cestisti collaborassero per ricomprare il tendone di un circo distrutto da un fulmine o per curare un bambino meno fortunato di altri. Riva non si è mai tirato indietro. C’ero nel precampionato sull’Altopiano quando le squadre affittavano un albergo e i calciatori passavano il tempo libero a giocare a ping-pong e a carte. C’ero anche il pomeriggio del 1° febbraio 1976 al Sant’Elia quando in uno scontro con un terzino del Milan Riva rimediò un guaio muscolare che si aggiunse ai tanti infortuni subiti. Aveva 31 anni, non tornò più in campo, non amava essere imperfetto. In dodici anni col Cagliari ha giocato 315 partite e segnato 164 gol. In Nazionale 42 presenze e 35 gol, quasi uno a partita. Nessuno in oltre quarant’anni è più riuscito a far meglio di lui in maglia azzurra.
Edoardo Pittalis