Lontano da dove
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando,interminati spazi di là da quella,e sovrumani silenzi,e profondissima quiete io nel pensier mi fingo,ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante,io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovviene l’eterno, e le morte stagioni; e la presente e viva,e il suon di lei. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio e il naufragar m’è dolce in questo mare. L’Infinito –Giacomo Leopardi. Tanto tempo è passato da quando Giacomo Leopardi si struggeva al di qua di una siepe e cercava con la sua immaginazione di vedere il mondo al di là di essa. E in questo suo grido sussurrato dichiarava al mondo quanto anelasse a superare quel limite. E quanto quel limite, in effetti, altro non era che un limite interiore.Una siepe può contenere l’infinito? Forse no, ma sicuramente può aiutarci a immaginarlo che è l’unico modio di provare a conoscerlo. L’essere umano, quindi, ha sempre cercato in qualche modo di superare ciò che percepiva come limite. A volte si trattava di una siepe a volte di altro. Insomma alla ricerca di un Lontano da dove
Lontano da dove
Nel film “Lontano da Dove” un gruppo di giovani amici con il mito dell’America, anelano a quell’ infinito che è rappresentato da quel continente lontano. Dove, sono certi, troveranno quello che cercano, quello che la loro metaforica siepe “italiana” esclude e limita. Cosi partono con la valigia carica di speranza e di entusiasmo per un viaggio che ne sono certi risolverà la loro ricerca.
Lontano ma dietro casa
Ma una volta giunti a destinazione scoprono, ben presto, che ciò che credevano di trovare in un mondo lontano e mitizzato era, difatti, sempre stato alla loro portata. Dietro l’angolo di casa.
La trama di questo film, uscito nelle sale tempo fa, che da il titolo a questo articolo, ci invita a riflettere sul senso della ricerca. Che, anche inconsapevolmente, mettiamo in campo quando decidiamo di partire per un luogo remoto. Il quale quanto più è lontano tanto più ai nostri occhi si carica di magiche aspettative.
Il viaggio e la meta
Il viaggio ci consente di esplorare luoghi lontani e per fare questo ci invita ad avere il coraggio di partire all’esplorazione dell’incommensurabilmente immenso e ignoto. Lo sforzo che dobbiamo compiere è più importante e simbolicamente impegnativo di quello che solitamente pensiamo di mettere in campo. Perchè ignoriamo il senso profondo che si nasconde dietro ogni partenza.
Il viaggio lontano
In effetti, ogni partenza racchiude una metafora che allude alla morte di ciò che siamo stati fino a quel momento. Per andare incontro ad un nuova identità. La linea da oltrepassare è il confine limitato del nostro quotidiano che ogni giorno circoscrive e guida i nostri passi. Definisce i paesaggi noti e stabilisce, di conseguenza, le nostre emozioni sempre più logore. Il passaggio obbligato di ogni partenza inizia dal desiderio di superare un confine. E di essere predisposti a vedere i soliti gesti frantumarsi,per ricomporsi in qualcos’altro, non appena quel primo passo viene compiuto.
Il viaggio lontano come metafora
Così facendo non solo proviamo ad abitare un luogo fino ad allora sconosciuto ma quello che più conta ci restituiamo la splendida opportunità di essere altro. Infatti, ogni viaggio ci invita ad abitare quel non luogo dove si gioca la partita tra il limite e l’infinito. Diatriba insita in ogni partenza e in ogni ritorno. Ma essendo il viaggio una metafora della ricerca di ciò che ci appartiene interiormente, la possibilità di partire effettivamente non è legata alla distanza o al luogo. Non dipende dal fatto che il confine da oltrepassare sia un paese, un continente, un quartiere, una porta o una siepe. Quello che conta è che un passo o uno sguardo o la sola immaginazione ci conduca in un altrove dove una nuova identità sia possibile.
Un viaggio che porta lontano
Mettersi in viaggio, quindi, corrisponde al tentativo di incontrare quell’infinito che ogni siepe contiene e respinge. Ma la condizione affinchè il viaggio introduca tali significati è dato dallo sguardo interiore con il quale lo si affronta. E’ dato dalla possibilità che ci diamo di essere curiosi, dalla capacità di abbandonare le abitudini consolidate. In definitiva è dato da uno sguardo che sappia lasciarsi rapire e sappia trascendere il conosciuto. Solo allora la nostra valigia sarà leggera perchè vuota di cose usate ma piena della capacità di stupirsi. Solo allora la nostra immaginazione avrà lo spazio e il potere che le spetta per condurci davvero lontano. E non avrà importanza se avremo varcato soltanto la soglia della nostra casa.
Oltre la siepe
E allora non ci resta che provare a lanciare il nostro sguardo al di là di una siepe o al di là del mare. Poco importa, perché ciò che conta davvero non sta nella meta da raggiungere. Ma nella capacità di essere viaggiatori del mondo, in una migrazione perpetua. Che partecipi al dialogo ininterrotto tra ciò che conteniamo e ciò che ci comprende.
Antonia Murgo. Psicologa psicoterapeuta, esercita la libera professione presso il suo studio di Padova da più di vent’anni. E’ specializzata in psicosomatica, disturbi dell’alimentazione, terapia di coppia ed esperta delle problematiche adolescenziali. E’ spesso relatrice di convegni e conferenze sul tema, ed è stata docente e ricercatrice presso varie scuole europee.