Il futuro della medicina in Veneto
L’Azienda Ospedale Università di Padova è a caccia di anestesisti rianimatori. Ben 15 posti rimarranno infatti a breve scoperti, tra pensionanti e licenziamenti di medici che dal pubblico hanno deciso di passare al privato. La soluzione è quella di cercare gli specialisti nelle cooperative ma non è comunque facile. Quello dell’anestesista è un lavoro impegnativo e totalizzante, che non tutti sono disposti a fare. Lo sa bene il dottor Ivo Tiberio, direttore della Terapia intensiva dell’Azienda Ospedale Università.
Dottor Tiberio cosa vuol dire fare l’anestesista rianimatore?
«È un lavoro di responsabilità che richiede una competenza trasversale nell’ambito medico e chirurgico, ancora di più in un’azienda hub di terzo livello come Padova, dove si passa dalle urgenze mediche, a quelle chirurgiche, ai trapianti».
Perché ci si trova con questa grande carenza?
«Sicuramente perché non è stata fatta una giusta programmazione negli anni a livello delle scuole di specializzazione, poi probabilmente perché è un lavoro molto impegnativo e che lascia poco spazio alla libera professione».
Cosa intende?
«Gli anestesisti lavorano soprattutto nel pubblico, qualcuno nel privato, pochissimi hanno un’attività ambulatoriale che riguarda per lo più la terapia antalgica. Diverso è per altre specialità che hanno più possibilità di lavorare in autonomia».
Questo potrebbe incidere sulle “vocazioni”?
«Potrebbe, anche se sono convinto che chi decide di fare l’anestesista rianimatore lo faccia più che altro per passione. È un lavoro di sacrificio ma che dà anche tante soddisfazioni. Ti trovi a gestire situazioni sull’orlo del precipizio, ma quando vedi che i pazienti ce la fanno è molto gratificante».
E quando non ce la fanno?
«Un aspetto a cui non ci si abitua mai è la sofferenza o la morte. Per ogni caso che non va nella maniera dovuta ci si chiede sempre cosa non è andato bene, cosa si poteva fare di diverso».
Com’è cambiato il lavoro dell’anestesista durante il Covid?
«Il Covid è stato molto impegnativo a livello di tutta la struttura ospedaliera, ha coinvolto tutte le figure professionali. Per quanto riguarda noi, abbiamo continuato a fare il nostro lavoro, ma l’emergenza ha preso il sopravvento e tutto è stato rimodulato. C’è stata una riduzione delle attività non urgenti, mentre abbiamo continuato ad occuparci delle urgenze mediche e chirurgiche, delle attività oncologiche, oltre ovviamente ad occuparci moltissimo della cura dei pazienti ricoverati nelle terapie intensive Covid. Diciamo pure che con la pandemia noi anestesisti siamo usciti dall’ombra».
In che senso?
«Prima il nostro ruolo era sconosciuto ai più, con il Covid è improvvisamente emersa l’importanza della figura dell’anestesista e la funzione salvavita della rianimazione»