La polesana Patrizia Bartelle abbandona l’M5S
«Non sono io a tradire, è il M5s che ha tradito i principi e i valori per i quali era nato». Con queste parole a Palazzo Ferro Fini, nel corso di una conferenza stampa convocata per illustrare una mozione sui nuovi fanghi che, grazie al decreto Genova votato in Parlamento dalla maggioranza giallo-verde, potranno essere sversati sui terreni agricoli, la consigliera pentastellata ha dato le sue dimissioni.
«Così potremo gustarci prelibati ortaggi alla diossina, al cromo, all’arsenico», ha commentato, con amarezza, la consigliera regionale che ora chiede alla Regione di applicare in Veneto i precedenti parametri. Il decreto Genova è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso: «È dall’inizio della legislatura che si sta derogando agli impegni che avevamo assunto in campagna elettorale».
Bartelle resterà in consiglio regionale e passerà al Gruppo Misto. Ma non esclude di aderire a progetti politici che si occupino «sul serio» di tematiche ambientali, territoriali, sanitarie. Potrebbe essere il movimento del sindaco di Parma Federico Pizzarotti? «Potrebbe, sì. E probabilmente altre persone mi seguiranno».
L’articolo 41 del decreto Genova, rispetto al decreto legislativo 99 del 1992, ha aumentato il tetto per lo sversamento nei terreni agricoli di fanghi che contengono sostanze inquinanti e metalli pesanti. «Si tratta di una disposizione dagli effetti terribili – ha detto Bartelle – e io non ci sto. Ho presentato una mozione affinché la Regione non recepisca quelle norme e continui ad applicare la disciplina precedente, più restrittiva. Avevo chiesto agli altri quattro consiglieri del M5s di sottoscriverla, ma non hanno voluto. E in Parlamento c’è stato chi ha preso i voti dal Polesine, come Vanin e Businarolo, ma ha votato a favore di una norma che mette in pericolo l’ambiente».
Dopo tutte le battaglie condotte in Polesine, a partire dalla tragedia di Coimpo con i quattro morti, Bartelle ha deciso «di abbandonare il Movimento 5 Stelle perché non ha difeso una delle sue stelle fondamentali, quella legata alla tutela dell’ambiente. Sento che non è più possibile continuare in questo modo e quindi con orgoglio segnalo la mia diversità uscendo dal gruppo consiliare e dal Movimento 5 stelle».
Da tempo Bartelle era a disagio con il M5s e con gli altri quattro consiglieri regionali. «È da anni che non ci parliamo», ha confessato ieri quando le è stato chiesto se aveva informato i colleghi della decisione: «Lo comunicherò per iscritto». Bartelle ha negato di essere destinataria di provvedimenti disciplinari per aver partecipato a un incontro pubblico di Pizzarotti a Padova. O, forse, non le risulta.
Ha confermato che «i conflitti» ci sono stati fin dall’inizio sui valori del Movimento: «Io, da servitore dello Stato quale sono come poliziotta, ho messo la mia onorabilità e credibilità su quei principi». E ha accusato i colleghi di non aver rispettato gli impegni presi. A partire dai soldi. «Chi fa il capogruppo o il vice o ha altri incarichi riceve un’indennità aggiuntiva (da 2.100 a 24.00 euro lordi mensili): avessero rinunciato, come promesso in campagna elettorale e previsto dal Codice etico, avrebbero restituito circa 100mila euro. Senza contare che c’è chi, come Baldin e Scarabel, ha chiesto l’assegno di fine mandato, salvo poi dire che sarà reso, come non si sa».
E a proposito di restituzioni: «La prima volta ho dato 8mila euro a Scarabel sul suo conto. Poi ho deciso di seguire le indicazioni nazionali e ho restituito i soldi nel fondo per le piccole e medie imprese del ministero. Ad oggi ho restituito io da sola, che non ho alcuna doppia indennità, oltre 56mila euro». Ma la parte più importante è quella politica: «Nel M5s il dibattito politico è stato azzerato, il potere assoluto appartiene alla Casaleggio e al capo politico Di Maio».
Per gentile concessione di TGVenezia