Baldios, il robot più sfortunato
Poche opere meritano il titolo di cult come Baldios, di cui festeggiamo il quarantesimo anniversario. Non lo si può certo definire un anime di successo, né un titolo che ha cambiato la storia del robotico. Eppure continua a essere amato oggi come sempre. Perché tanto amore per un’opera ormai vetusta e che pochi conoscono al di fuori del pubblico – anch’esso ormai vetusto – dei primi anni ottanta? Il presente approfondimento cercherà di rispondere alla domanda e di rendere giustizia allo sfortunato Baldios. Per capirlo bisognerebbe vedersi 5-6 serie robotiche degli anni settanta e poi vedere Baldios, in modo tale da poterlo apprezzare al meglio.
L’incipit
L’incipit di Baldios è quanto di più classico ci possa essere. In seguito alla distruzione del suo pianeta natale S-1, l’alieno Marin si rifugia sulla Terra dove combatte al fianco dei terrestri contro gli invasori. Una storia già vista e rivista in Grendizer, Groizer X e Mechander. È normale per quel periodo avere un protagonista alieno, di solito orfano come Marin. Che a volte può essere cresciuto sulla Terra (Diapolon, Ginguiser) o anche essere un mezzosangue (Astroganga, Raideen, Blocker Gundam, Vultus, Daltanious). La composizione della squadra del Baldios è altrettanto normale. C’è il pilota robusto e impulsivo (Raita), il pilota smilzo più riflessivo (Oliver) e l’immancabile ragazza della base (Jamie). Manca soltanto il bambino per completare la tradizionale cinquina.
Baldios
La novità apparente della serie è aver sostituito il tradizionale maturo scienziato con una affascinante dottoressa. Ma anche questa non è una cosa senza precedenti. Per esempio è normale per le serie di Tadao Nagahama avere delle belle scienziate incaricate della creazione dei robot, solo che di solito operano nel campo avverso (si pensi a Mia in Combattler, Kazarin in Vultus, Lyza in Daimos).
Seguendo l’esempio di Jeeg, Baldios assegna il ruolo di Gran Comandante dell’armata Aldebaran a una bellissima donna dei capelli verdi. Cosa di cui nessuno si può lamentare. Il comandante della base dei Blue Fixer è un militare tutto d’un pezzo. Che non si fa scrupoli ad assegnare qualche sonoro ceffone ai suoi sottoposti quando ce n’è bisogno. Seguendo una tradizione collaudata fin dai tempi del Grande Mazinga e a cui non si sottrae neppure Gundam.
Baldios più unico che raro
Visto così Baldios sembrerebbe il solito robotico di quegli anni. Ma sarebbe solo apparenza. Nella realtà Baldios è un caso più unico che raro. Una serie che scardina tutte le certezze e partendo da un’incipit banale porta a una conclusione che non si era mia vista prima nella storia del robotico. E che mai sarà eguagliata nella sua drammaticità nei quarant’anni successivi. Più che un anime rivoluzionario sarebbe opportuno definirlo un anime eretico. Se un anime rivoluzionario è uno che cambia la storia di un genere (si pensi a un Gundam o in Evangelion) Baldios è un anime bruciato sul rogo che non ha lasciato nessun discendente, un caso atipico, unico e irripetibile.
Il contesto storico
Per inquadrare correttamente Baldios, bisogna partire dell’anno in cui va in onda, il 1980. Nel cuore dell’epoca di transizione dal super degli anni settanta al nuovo robot degli anni ottanta. Ovviamente non c’è un anno preciso in cui si possa situare la transizione. Eppure gradualmente tra il 1979 (anno di Gundam) e il 1982 (anno di Macross) di fatto il super robot tradizionale scompare. Al suo posto compaiono tutta una serie di altri mecha, che ricevono le influenze più disparate. Gradualmente in quel periodo spariscono gli stilemi tipici e l’anime robotico inizia a miscelarsi con generi del tutto diversi. Come il western, il noir, l’archeologia, la fantascienza militare, la fantapolitica, le arti marziali, il poliziesco e molti altri.
Il processo di Baldios
Baldios si situa all’inizio di questo processo e quindi mantiene le apparenze del super robot, ma al tempo stesso va molto al di là. Di per sé il processo di distanziamento dal super robot classico è diffuso in tutte le serie robotiche dell’epoca. Nel 1980 “l’era del robot nagaiano” è già finita e le innovazioni di Nagahama e Tomino sono ormai date per scontate. Tutte le serie coeve a Baldios (Trider G7, God Sigma e Ideon) per un motivo o per un altro si differenziano dal canone classico.
Differenze tra Trider G7 e Baldios
Trider G7 si differenzia nel senso della parodia. Abbandona le atmosfere drammatiche di Mazinga e compagnia e dà più spazio alle avventure scolastiche di Watta che alle battaglie robotiche. God Sigma, per quanto più tradizionale, presenta ugualmente caratteri moderni. Quali per esempio dei nemici alieni del tutto identici ai terrestri. Sprovvisti di ali o corna, oppure l’idea che i terrestri alla fine non siano del tutto dalla parte del bene. Lo stesso si può dire per Ideon e naturalmente anche per Baldios: si può dire che fosse lo spirito dell’epoca.
I mitici anni ’70
L’epoca però era ancora quella degli anni settanta. La rivoluzione Gundam non aveva attecchito ancora, e Baldios attinge direttamente dal robotico classico, di cui continua a usare le forme espressive e le ingenuità. Non chiedetevi quindi come sia possibile integrare due mezzi terrestri pre-esistenti con un’astronave aliena e creare un robot gigante in poche settimane. Non chiedetevi perché tra i membri dei Blue Fixer ci sia una ragazzina minorenne la cui uniforme è più simile a un costume da bagno. E soprattutto non sorprendetevi del fatto che tutti i membri dei Blue Fixer siano degli orfani con una storia infelice alle spalle.
I combattimenti
Nella sostanza Baldios è una serie di una esplosività inaudita. Lo spettatore giapponese che nel 1980 si trovava a seguirlo – o l’italiano di pochi anni dopo – ne rimaneva completamente spiazzato. In primo luogo perché Baldios annientava un caposaldo fondamentale di tutte le serie robotiche che lo avevano preceduto: il combattimento tra mecha. Il combattimento tra mecha era un topos così fondamentale che neppure Gundam aveva avuto il coraggio di togliere.
In Baldios il tempo dedicato ai combattimenti è di pochi secondi. Dopo la trasformazione il nemico viene abbattuto in pochi istanti, di solito senza urlare il nome delle armi. Senza colpo finale, senza musica esaltante e senza alcun senso di soddisfazione. Si può dire che non ci sia alcun combattimento nel senso dello scontro a armi pari tipico del super robot classico. In Baldios assistiamo semplicemente a un’operazione di macelleria in cui il robot titolare distrugge il nemico. Di solito degli inermi e insulsi minidischi, mentre risuona una musica tristissima e ripetitiva. Nei 34 episodi realizzati, si contano soltanto 15 mostri della settimana, neanche la metà, una cosa impensabile all’epoca.
La sensualità
Un secondo aspetto eversivo di Baldios è che in questa serie lo spettatore si trova alle prese con una sensualità esplicita che era quasi del tutto inesistente nel robotico precedente. È vero che in Mazinga Z ci sono delle scene alle in cui Koji cerca di vedere Sayaka nuda. Vero che nel Grande Mazinga assistiamo a una scena di doccia del virile Tetsuya, con una celebre inquadratura del suo fondoschiena, ma non sono certo scene ad alta carica emotiva.
Grendizer è stato probabilmente il robotico con maggiore carica sensuale di quegli anni, ma Baldios è completamente su un altro registro. Baldios è anche un precursore delle scene di doccia. Che diventeranno scontate e inevitabili negli OAV degli anni ottanta, ma che prima non si erano praticamente mai viste, se non a scopo umoristico. Va segnalato che le scene di bagno di Baldios sono lontane anni luce dall’erotismo di bassa lega che diventerà comune negli anni ottanta. A parte la scena di Jamie nella doccia attaccata da un parassita alieno, che è un puro divertissment, tutte le altre sono funzionali allo studio psicologico dei personaggi.
Ai tempi scene del genere erano inaudite e quanto viste in Baldios si può paragonare solo a certe scene particolarmente suggestive di Lady Oscar. In Italia fortunatamente incensurate. Il paragone è molto sensato non solo a livello visivo ma anche e soprattutto a livello emotivo. Baldios è costruito principalmente sulla storia d’amore tra Marin e Afrodia. Non si tratta di una coincidenza. Basti dire che il nome di Afrodia nel soggetto originale di Baldios era Bellbaran che si può traslitterare come Berubaran. Un omaggio diretto al titolo originale di Lady Oscar. Ovvero Versailles no Bara, che in Giappone veniva abbreviata come Berubara. Anche nella versione definitiva di Baldios il nome completo di Afrodia è Rosa Afrodia e “bara” significa per l’appunto rosa.
La condizione della donna
La serie di Baldios dona un grande spazio ai personaggi femminili. Maggiore di quanto si fosse mai visto prima in una serie robotica, paragonabile soltanto al contemporaneo Ideon, che pure in questo senso è eccezionalmente innovativo. Un rapido conto ci dice che 7 episodi sono dedicati interamente a Afrodia. 5-6 episodi sono dedicati alla dottoressa Quinstein, 4 episodi a Jamie e uno alla capo-cronista Emy Latin.
In pratica circa la metà della serie è a componente principalmente femminile. Togliendo lo spazio dedicato a Marin, che è il protagonista, tutti gli episodi dedicati ai comprimari maschili Raita, Oliver e Tsukikage messi insieme non arrivano neanche alla metà dello spazio dedicato ai comprimari femminili. Si tratta di una cosa inaudita.
C’è da dire che sia la società terrestre dell’anno 2100 che quella di S-1 non sono molto diverse dalla società giapponese del 1980. In Baldios se una donna vuole fare carriera deve abbandonare l’idea di farsi una famiglia. Così è per Afrodia, che ha rinunciato del tutto alla sua femminilità; così è per la Dottoressa Quinstein, che si è dedicata interamente alla scienza.
La società militarista di S-1 è palesemente maschilista e Afrodia viene ostacolata in tutti i modi per il suo essere donna. Più e più volte nel corso della serie il suo ruolo viene messo in discussione dai suoi colleghi maschi. Frasi come “Gattler non avrebbe dovuto affidare il comando dell’esercito ad una donna”, “la guerra va male perché Afrodia è solo una donna” e simili sono all’ordine del giorno. Gattler, colui che ha dato fiducia ad Afrodia, alla fine si pente e ammette con sé stesso che “dopotutto, Afrodia è solo una donna”.
La famiglia
Uno dei grandi punti di forza del robotico classico è l’attenzione rivolta alla famiglia. Per questo il robotico classico richiede un’interpretazione più psicoanalitica che sociologica. Baldios si discosta molto da questa tradizione. Non c’è dubbio che i Blue Fixer si possano considerare una grande famiglia. Con il comandante Tsukikage nel ruolo del padre, esempio di rettitudine morale. La dottoressa Quinstein nel ruolo di saggia madre. Raita e Oliver nel ruolo dei fratelli maggiori di Marin e Jamie nel ruolo della sorellina. Ma le dinamiche familiari in Baldios sono molto diverse da quanto visto in precedenza.
La differenza tra Marin e Goldrake
Vale la pena di fare un confronto tra quanto succede a Marin di Baldios e quanto capita a Duke Fleed di Grendizer. Duke Fleed viene adottato dal professor Genzo Umon che diventa a tutti gli effetti suo padre. Viene accolto alla fattorie della Betulla Bianca e vive senza problemi sulla Terra. Anche quando le sue origini aliene vengono scoperte. È un esempio di perfetta ospitalità e integrazione. Marin invece viene catturato dai Blue Fixer. Imprigionato in una cella con le sbarre e la prima cosa che il comandante Tsukikage ordina è quello di sottoporlo all’analizzatore encefalico. Un tipo di macchina delle verità in grado di causare gravi danni cerebrali ai soggetti su cui è usata.
Politica
Nel robotico classico l’aspetto sociopolitico è del tutto secondario, tuttavia con l’innalzarsi dell’età media dei telespettatori, tematiche politico-sociali hanno avuto sempre più rilevanza nel genere. In Baldios questa tendenza è evidente. Ampio spazio viene dedicato alla situazione politica di S-1, alle congiure contro Gattler, ai contrasti tra i civili e i militari. Baldios dedica anche un’intera puntata all’opinione pubblica terrestre. E ci viene detto – con grande sorpresa di Marin che viene da una società totalitaria – che la televisione ha maggiore importanza del governo nella società dell’anno 2100.
La tragedia in Baldios
Il messaggio di Baldios è chiaro ed inequivocabile. I buoni possono essere perfetti, impegnarsi allo stremo, realizzare le imprese più difficili ma alla fine sarà tutto inutile. Il male è destinato a vincere per un senso di fatalità cosmica. E questo messaggio verrà portato coerentemente avanti per tutte le puntate fino all’inesorabile finale. Un messaggio del genere non si era mai visto prima nel robotico. Nelle serie nagaiane o di Nagahama i personaggi destinati a una fine tragica erano i nemici. O personaggi che si erano comunque macchiati di qualche delitto, fosse anche solo la stupidità di lasciarsi ingannare dai nemici. In Baldios invece gli eroi sono intelligenti, moralmente perfetti e inappuntabili, eppure ugualmente condannati alla sconfitta.
Il film e il vero finale
Il film di Baldios, apparso nei cinema giapponesi il 19 dicembre 1981, si vide in Italia quasi vent’anni dopo. Quando la Yamato pubblicò la serie in videocassetta. Per gli spettatori italiani fu una vera manna: finalmente era possibile sapere com’era andato a finire il robottone più atipico della sua generazione! Vista allora, il film mi impressionò enormemente. Rivedendolo adesso, invece, dopo aver saputo quale doveva essere il vero finale di Baldios se la serie fosse continuata, l’ho un po’ ridimensionato.
In italiano è possibile trovare le sintesi di tutti gli episodi mai realizzati e quindi sapere quale doveva essere la vera fine di Baldios. Il film, invece di trasporre in animazione tali episodi, è un tagli e cuci di tutta la serie. Chiaro che riassumere 39 episodi in 2 ore è assolutamente impossibile.
Yoshiyuki Tomino, al momento della realizzazione del film di Gundam, mentì alla produzione. Riassumendo solo i primi 13 episodi invece di tutta la serie come promesso e obbligandola a realizzare altri due seguiti, visto il travolgente successo. È un testamento alla genialità della sceneggiatura di Baldios che il film sembri comunque un capolavoro. Anche se non lo è! Perché riesce comunque a annientare lo spettatore con la rivelazione del segreto rapporto tra S-1 e la terra. Con la conclusione della storia d’amore tra Marin e Afrodia. E soprattutto con l’iconica scena finale di Marin che guarda il mare inquinato tenendo tra le braccia Afrodia morente.
Il finale di Baldios, caso unico nella storia degli anime, toglie la speranza del futuro. Altre serie uccidono i protagonisti: Baldios uccide la speranza. È per questo che Baldios rimane indimenticabile ed è il finale quello che ha confermato l’opera nel suo stato di cult per tutti questi anni.
Theo Gattler
Ad una prima visione della serie Theo Gattler non pare un personaggio di particolare impatto. È un classico cattivo, un militare megalomane con un forte culto della personalità. Che pensa che l’unico modo per risolvere i problemi del suo pianeta sia quello di invaderne un altro. È chiaramente ispirato agli avversari della Yamato, il Supremo Desler e Zordar dell’Impero della Cometa, ma è assai meno romantico di questi. Se si riguarda la serie con attenzione, bisognerà ammettere che Gattler è il cattivo più realistico mai visto in una serie robotica. Un concentrato di meschinità, ambizione e megalomania abbinati a momenti di sorprendente carisma.
Gattler è un uomo che si è fatto da sé. Con i mezzi sporchi che bisogna utilizzare in questi casi. Dopotutto Gattler ha ragione: la Terra è davvero destinata a diventare S-1 e non ha futuro. Forse è per questo che Marin lo lascia andare. Potrebbe sparargli, ma Gattler è davanti ai controlli dell’ibernazione, se questi saltassero sarebbe la fine per quei diecimila soldati che costituiscono l’unica speranza dell’umanità. E così Gattler si salva, diventa un vagabondo del cosmo, completamente solo perché ci vorranno quindici anni prima che possa risvegliare i soldati, eppure libero. O forse prigioniero per sempre della sua follia.