Veneto, è crollo tamponi
Un’estate rasserenata, qualche nube minacciosa in autunno, perché la variante Delta (alias indiana) del Covid appare più pervasiva e resistente agli anticorpi rispetto all’inglese dominante, soprattutto nei soggetti privi di vaccinazione. È quanto avviene nel Regno Unito dove, alla vigilia della riapertura generale, si è registrata un’inversione del trend epidemiologico, è lo scenario che spinge più virologi a prevedere, a partire da settembre, un aumento dei casi, magari lievi e non accompagnati da ricoveri e decessi, concentrati nelle coorti dei giovani e degli over 60 No vax. Nel territorio veneto, peraltro, l’insidia Delta è già realtà. Una cinquantina fin qui i casi isolati e sequenziati dall’Istituto Zooprofilattico delle Venezie: «Le infezioni sono avvenute in ambito familiare e lavorativo, favorite dal rientro di lavoratori indiani dai luoghi d’origine, si tratta di focolai circoscritti e sotto controllo», il commento della direttrice Antonia Ricci.
Estate serena?
Unanime, in ambito scientifico, la raccomandazione alle Regioni: il testing e il tracciamento dei contatti con i soggetti positivi non vanno attenuati, semmai rafforzati perché oggi il modesto numero di contagi consente una mappatura impraticabile nella fase emergenziale. Al riguardo, il capo del dipartimento prevenzione Francesca Russo ha assicurato «un impegno rinnovato» ma l’ultimo monitoraggio compiuto dalla Fondazione Gimbe (12 maggio-15 giugno) documenta un andamento diverso, con il Veneto relegato tra i fanalini di coda nella media giornaliera di persone testate ogni 100 mila abitanti: 50 appena rispetto alla media nazionale di 107, terzultima posizione nella graduatoria capeggiata dalla Toscana (159). Soltanto l’Emilia Romagna (48) e la Puglia (46) evidenziano un livello di attività inferiore.
Meno ricoveri
Circostanza sorprendente alla luce dell’iniziativa intrapresa dal governatore Luca Zaia che ha proposto, con successo, alla conferenza delle Regioni di stabilire un tetto minimo di tamponi uguale per tutti – così da assicurare una base uniforme – auspicando un’analoga misura sul versante della sequenziazione genetica, ad oggi trascurata in gran parte del Paese. Sondate a riguardo, fonti della sanità veneta escludono un “rilassamento” nell’opera di prevenzione e sottolineano come il crollo dei contagi e dei ricoveri – con gli ospedali letteralmente svuotati sia in area medica che nelle terapie intensive – riduca «oggettivamente» il ventaglio dei soggetti tracciabili. Qualche dubbio anche sui criteri adottati da Gimbe: «Noi testiamo regolarmente 60 mila dipendenti del servizio sanitario pubblico e altrettanti tra ospiti e operatori delle case di riposo, la media che ci viene attribuita comprende questa attività?» .
Variante contagiosa
Tant’è, nella nota al report della Fondazione, il presidente Nino Cartabellotta conferma senza esitazioni l’assioma di partenza: «Da 13 settimane consecutive si assiste alla progressiva diminuzione dell’attività di testing che sottostima il numero dei nuovi casi e documenta la mancata ripresa del tracciamento dei contatti, fondamentale in questa fase della pandemia. Su scala nazionale il numero di persone testate si è ridotto del 31,5%, con rilevanti e ingiustificate differenze regionali». E l’effetto Delta? Le prospettive non sono rosee… «Secondo l’ultima indagine di prevalenza dell’Istituto superiore di sanità, questa variante è più contagiosa di circa il 60% rispetto all’inglese».
L’efficacia dei vaccini
Quanto allo scudo vaccinale, «Public Health England attribuisce alla singola dose di Pfizer o AstraZeneca un’efficacia limitata al 33%, percentuale che dopo il richiamo sale, rispettivamente, all’88% e al 60%. Inoltre, un nuovo studio di Public Health England attesta che l’efficacia del ciclo completo nel prevenire le ospedalizzazioni è del 96% con Pfizer e del 92% con AstraZeneca». Un appello, neanche troppo indiretto, ad accelerare i tempi della salvifica campagna antivirale.