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L’addio di Coletto crea un problema. Il governatore assume l’interim e diserta l’aula

Coincidenze e nervi tesi. Nel giorno in cui a Palazzo Ferro-Fini si apre la discussione del Piano sociosanitario 2019-2023 (l’architrave del welfare veneto prossimo venturo), il neo sottosegretario alla Salute Luca Coletto rassegna formalmente le dimissioni da assessore alla sanità e Luca Zaia, in attesa di assegnare la delega alla fidata Manuela Lanzarin, ne assume l’interim.

Il governatore leghista, tuttavia, si guarda bene dal presenziare ai lavori del consiglio salvo inviare, da Treviso, la sua ricetta per arginare l’emorragia di medici e chirurghi dagli ospedali – mancano all’appello ben 1300 camici bianchi – che minaccia ormai la qualità e l’efficacia del sistema veneto.

 

«Bisogna metter mano alla programmazione e abrogare anzitutto il numero chiuso a Medicina perché i ragazzi devono essere selezionati sul campo», è la premessa «ma penso che il Governo potrebbe valutare un altro aspetto, quello di valorizzare i professionisti già disponibili. In un periodo di emergenza qual è l’attuale, perché perdere professionisti a 65 anni, nel pieno del vigore professionale, che potrebbero restare qualche anno in più in servizio nei nostri ospedali e se ne vanno in pensione al culmine della loro esperienza di medico? Penserei di allungare l’età pensionabile, magari in maniera volontaria, negoziabile con l’azienda. Io ne conosco un sacco di bravissimi che resterebbero a lavorare».

Tant’è. In attesa di riscontri concreti dal governo “amico” gialloverde, la sua assenza dall’aula indispettisce l’opposizione dem: «Zaia non si presenta mentre si discute il principale atto di programmazione della legislatura e anziché confrontarsi nel merito lancia proposte senza capo né coda. È una vergogna, l’ennesima umiliazione che infligge all’assemblea e in primis alla maggioranza, i cui esponenti sono ridotti a meri esecutori del volere del capo», protesta Graziano Azzalin; «In trent’anni non si era mai visto nulla del genere», rincara Andrea Zanoni, che boccia il piano sul versante della non autosufficienza «aggravata dalla mancata riforma delle Ipab» e lamenta la scarsa attenzione riservata «agli impatti ambientali sulla salute collettiva determinati da aria, acqua, suolo e rifiuti».

Critico anche il capogruppo Stefano Fracasso («Manca una regìa politica») mentre Claudio Sinigaglia denuncia «il rovinoso smantellamento delle medicine di gruppo» e sospetta che «alla luce delle disfunzioni delle macro Ulss, la Regione stia pensando di sostituire quelle accorpate con i distretti, una retromarcia clamorosa». Senza appello, infine, il giudizio di Piero Ruzzante (Leu) e Patrizia Bartelle (Italia in comune): «L’ultima rilevazione disponibile documenta che nel 2016 ben 749. 437 veneti hanno rinunciato a curarsi, il 15%. Un numero impressionante, determinato dalle scelte sbagliate di chi governa la regione da vent’anni, è tempo di voltare pagina».

Sul fronte opposto, il relatore di maggioranza Fabrizio Boron (presidente della commissione sanità) ha difeso la bontà delle misure fin qui adottate «per contenere la spesa e assicurare la sostenibilità del sistema pubblico», a cominciare dalla riduzione delle Ulss da 21 a 9 con la nascita della governance Azienda Zero; decisivo, secondo il leghista, è l’Accordo preliminare con il Governo per la maggiore autonomia «che potrà finalmente risolvere il problema della carenza di medici, causata dal blocco del turnover che perdura dal 2004, attraverso l’assunzione diretta, estesa ai giovani laureati che saranno stipendiati e si specializzeranno lavorando nei nostri ospedali».

La discussione è ripresa ma i lavoratori delle cento case di riposo del Veneto non hanno atteso il voto finale per esprimere la loro voce: aderendo allo sciopero proclamato dalla Cisl (che reclama una riforma attesa da 18 anni) sono calati a Venezia a bordo di un vaporetto carico di manifestanti, bandiere e striscioni, approdando infine alla sede del Consiglio regionale. «Ci aspettiamo che la Regione dimostri concretamente di meritare la maggiore autonomia richiesta», le parole del segretario generale Gianfranco Refosco»; «Vedremo presto se c’è buona volontà», fa eco Marj Pallaro «abbiamo chiesto che il nuovo Piano preveda l’applicazione ai 10 mila lavoratori Ipab del contratto della sanità pubblica. Giudicheremo i politici dai fatti».

E.P.

 

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