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Cannabis legale, è davvero permessa la vendita in tabaccheria?

Una storia antica
Iniziamo dalla domanda delle domande: è davvero legale comprare l’erba light? Per rispondere, bisogna guardare alla storia della coltivazione della canapa nel nostro paese, e alle leggi che ne hanno alterato il corso nell’ultimo secolo. All’inizio del ‘900 quello della canapa era un settore estremamente florido: si usava per produrre corde, vele, e tessuti resistenti, e le coltivazioni italiane si estendevano su oltre 100mila ettari di terreno. Col passare degli anni però il comparto entrò in crisi a causa della concorrenza di altre colture più economiche e dei tessuti artificiali come il nylon, ricevendo infine una batosta definitiva nel 1975, con l’avvento della legge per la disciplina degli stupefacenti che vietò la coltivazione della cosiddetta canapa indiana (o cannabis indica), ma rese anche molto difficile la vita per i coltivatori della canapa italiana (la cannabis sativa). Tanto da portare all’abbandono quasi totale di una coltivazione di cui il nostro paese era stato per secoli tra i primi produttori al mondo.

Facciamo un salto in avanti di 40 anni, e arriva all’anno della svolta. È il 2016, il mondo è cambiato radicalmente rispetto ai decenni precedenti, una nuova attenzione per l’ambiente e l’aumento dei prezzi del petrolio rendono nuovamente appetibile la coltivazione e la lavorazione della canapa. Troppo appetibile per lasciarci sfuggire l’occasione, e così viene varata una legge, la 242 del 2016, che punta a incentivare nuovamente le coltivazioni: maggiori tutele, regole più semplici e flessibili, possibilità di coltivare senza dover richiedere un’autorizzazione e incentivi statali per la coltivazione e la creazione di impianti di trasformazione. Una legge richiesta da più parti, che ha rilanciato la produzione italiana di canapa, con l’effetto collaterale di aprire il varco alla cannabis light legale. Tra le pieghe della legge, infatti, gli imprenditori più lungimiranti hanno adocchiato immediatamente la possibilità di commercializzare liberamente le infiorescenze ottenute dalle coltivazioni legali.

La legge 242
La legge in effetti fissa alcune destinazioni d’uso: alimenti e cosmetici, semilavorati per applicazioni industriali, prodotti per la bio-edilizia, e così via. Manca ovviamente alcuna menzione alla possibilità di commercializzare le infiorescenze per uso ricreativo. Ma se un prodotto venduto espressamente per essere fumato violerebbe diverse normative sanitarie, non ci sono invece norme esplicite che vietino la commercializzazione come deodorante per ambienti o articolo da collezione. E per il nostro ordinamento legale, se qualcosa non è vietato espressamente è come se fosse permesso.

Il nuovo mercato della cannabis light si muove in un vuoto normativo”, racconta a Wired l’avvocato Carlo Alberto Zaina. “La legge 242 del 2016 è mal concepita, più attenta alla facciata che alla sostanza, e pur affrontando il problema della destinazione d’uso della canapa coltivata in Italia non fa riferimento a quello principale, cioè al consumo ricreativo. È così che una legge pensata per regolare la coltivazione della canapa a scopo industriale ha finito per aprire le porte alla canapa legale”. Venduta come articolo da collezione o deodorante ambientale, d’altronde, è difficile considerarla una sostanza pericolosa. E se poi il consumatore una volta a casa decide di fumarsela, beh fatti suoi: il contenuto di Thc è troppo basso perché abbia effetti apprezzabili sull’organismo. E basta una breve ricerca su Google per scoprire che la lista di erbe medicinali dalle leggere proprietà psicoattive (vere o presunte che siano) e perfettamente legali in Italia è piuttosto lunga.

Tabaccai e pony express
Tornando alla canapa, l’avvocato Zaina assicura dunque che in mancanza di precisazioni legali da parte delle autorità e dei ministeri competenti, il commercio rimane perfettamente legale. E di conseguenza, è normale veder fiorire nuovi canali di vendita e servizi dedicati alla sua commercializzazione. Anche perché le stime più recenti parlano di un giro d’affari che potrebbe raggiungere decine di milioni di euro ogni anno. La Federazione italiana tabaccai però invita alla prudenza. È vero che i prodotti in questione riportano in bella vista la dicitura “non è un prodotto da fumo”, o similari.

Ma è anche vero che il Mef, il ministero della Salute e le altre istituzioni preposte potrebbero pensarla diversamente. E se così fosse, e la cannabis light venisse considerata in qualche momento un surrogato del tabacco, la vendita non regolamentata (tabacchi e surrogati hanno una tassazione particolare e possono essere venduti unicamente in tabaccheria e con regole precise) da parte di una tabaccheria potrebbe avere conseguenze molto gravi, compreso il ritiro della licenza per il tabaccaio. È per questo che lo scorso novembre la Fit aveva chiesto alle autorità competenti di fare chiarezza. E in mancanza di una risposta, evidentemente, alcuni tabaccai hanno deciso di fare da soli.

Per chi ha scelto questa via, comunque, per ora non sembrano esserci stati particolari problemi. A dover fare attenzione piuttosto potrebbe essere il consumatore: per la legge italiana infatti il consumo di marijuana a scopo ricreativo è infatti vietato ad ogni livello. Se per la coltivazione e la vendita dei prodotti derivati dalla canapa esiste una soglia di tolleranza per il contenuto in Thc che oscilla tra gli 0,2 e gli 0,6%, per il consumo non esiste un limite minimo. Fumare la cannabis legale tecnicamente resta un illecito, anche se di natura amministrativa. Ci si trova quindi in una situazione in cui due norme differenti si sovrappongono, quella che permette la compravendita dei derivati della canapa legale, e quella che vieta uso e possesso di sostanze stupefacenti. Di fronte a un funzionario particolarmente pignolo, si potrebbero rischiare sanzioni che, in caso di recidive, possono arrivare al ritiro della patente o del porto d’armi, e addirittura alla sospensione del passaporto.

L’erba legale viene venduta sigillata, ed il consiglio per il consumatore è di mantenerla in questo stato lungo tutto il tragitto verso casa”, avverte Zaina. “Se fermati in possesso di un contenitore sigillato nessuno può sostenere che la sostanza sia stata consumata, e quindi non si corre alcun rischio”. Una volta a casa le bustine andrebbero sistemate su una mensola e godute come oggetti da arredamento, o magari riposte nella nostra collezione di infiorescenze erboristiche. E se così non fosse, beh… come suol dirsi, occhio non vede, cuore non duole.

Dott. Lucio Zanetti

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