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La strage della funivia e la cultura italiana dell’insicurezza

Come per le morti bianche sul lavoro, il problema delle infrastrutture non è solo “tecnico”, riguarda una mentalità poco allenata a mettere al primo posto la sicurezza. Che l’Italia sia un paese dalle infrastrutture fragili non lo abbiamo scoperto leggendo sgomenti la tragedia di Stresa. Proprio nel giorno della sua riapertura, una cabina della funivia che porta al monte Mottarone è caduta a causa dello spezzamento del cavo portante. Sono morte 14 persone e ci sono diversi feriti tra cui un bambino in gravi condizioni. Per qualche mese, quelli che ci hanno tenuto chiusi in casa, ci eravamo dimenticati che fatti di questo tipo sono purtroppo ordinarietà in Italia. Un paese che vive in equilibrio precario tra infinite tragedie legate alla sicurezza e alla trascuratezza dei controlli, episodi drammatici che hanno continuato a verificarsi anche nei mesi del lockdown ma che sono rimasti fuori dai riflettori perché proprio il lockdown ha fatto sì che non costassero vite umane. Ora che si è tornati a uscire però è ricominciata anche la strage connessa.

La altre tragedie

Sono tante le tragedie simili che vengono in mente prendendo in considerazione solo gli ultimi anni. La più eclatante è senza dubbio il crollo del 2018 del ponte Morandi di Genova, costato la vita a 43 persone, ma in realtà ponti e viadotti continuano a venire giù su statali e provinciali con una frequenza altissima. C’è poi il deragliamento del treno Frecciarossa nel lodigiano a febbraio 2020, con due morti e decine di feriti. L’incidente ferroviario tra Andria e Corato, in Puglia, che nel 2016 è costato la vita a 23 persone. Il crollo nel 2018 della scala mobile nella stazione romana della metropolitana Repubblica, che causò 24 feriti di cui molti gravi. E poi le tante tragedie connesse alle alluvioni, come quella di Assemini del 2018, o le voragini che cronicamente si aprono nelle strade italiane, come all’ospedale del Mare di Napoli o, ancora, la facilità con cui i palazzi italiani si sbriciolano a causa dell’attività sismica.

Il vero problema

C’è un problema di infrastrutture in Italia, legato a doppio filo a un ancora più ampio problema di sicurezza, anzi di cultura della sicurezza (la stessa che provoca le tante morti sul lavoro). La manutenzione viene sempre vista come un intralcio, una perdita di tempo e questo non vale solo per strade, ferrovie e quant’altro ma anche più semplicemente per i luoghi e gli strumenti del lavoro, come mostra il fatto che ogni giorno in Italia si verificano in media due morti bianche. Nel caso della funivia Stresa-Mottarone si sa ancora poco su cosa non abbia funzionato e dove stiano le responsabilità, la certezza però è che qualcosa non abbia funzionato e che ci siano delle responsabilità dal momento che morire in una giornata di sole per un cavo che si spezza significa che qualcuno non ha vigilato come avrebbe dovuto fare.

La situazione italiana

L’Italia ha una rete infrastrutturale molto vecchia, osserva passiva l’obsolescenza delle sue opere senza realmente intervenire su di esse per garantire un cambio di passo, non fa nulla di concreto per combattere una debolezza del suo territorio che va acuendosi con la crisi climatica. Tutto questo si traduce in tragedie eterogenee nelle loro caratteristiche ma omogenee per le stragi o il rischio delle stesse che comportano, ma anche per le responsabilità che poi emergono dalle attività degli inquirenti. Un elemento che non riguarda solo l’usato, ma anche il nuovo, come mostra per esempio il crollo nel catanzarese nel 2019 di un viadotto stradale inaugurato solo qualche giorno prima.
La strage del Mottarone è l’ennesimo monito a intervenire, a dare continuità a quella frase che si sente nel day after di ogni tragedia simile: “facciamo in modo che non succeda più”.

I soldi che arriveranno saranno utilizzati?

Sistematicamente però succede ancora e da questo punto di vista la politica non è mai stata in grado di aiutare. La pioggia di miliardi che arriveranno ora con il Recovery Plan non potrà non tenere in considerazione la fragilità infrastrutturale dell’Italia e in effetti è proprio qui che sulla carta verranno investiti molti soldi, così da rinnovare e rendere sicura una ragnatela di opere malfunzionanti. Eppure in parallelo si sta lavorando a un decreto semplificazioni che vuole azzerare il codice degli appalti e che dunque in nome della sburocratizzazione e della velocizzazione rischia di togliere ancora più paletti in termini di controlli e sicurezza delle opere, dando semaforo verde agli appalti al ribasso e mettendo alla gogna le soprintendenze. Segno che alla base delle tante tragedie infrastrutturali che scandiscono il calendario italiano continua a esserci un problema culturale che non sembra destinato a risolversi.

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