Crolla il numero delle imprese guidate da una donna: nell’anno della pandemia né è sparito quasi il 17%
Le donne imprenditrici stanno pagando il conto più salato della crisi innescata dal Covid 19. E proprio per questo, ora più che mai, il tema dell’impresa femminile va rimesso al centro. Lo dico da imprenditrice consultando i risultati di una indagine realizzata da Infocamere sulla evoluzione della componente femminile dell’imprenditoria veneta. Al 31 dicembre 2020 lo stock delle imprese femminili in Veneto si attestava a 23.402 unità, con un tasso di femminilizzazione al 24,84%, tra i più alti d’Italia, dietro soltanto a Molise, Basilicata e Abruzzo. Nell’anno della pandemia, in Veneto sono nate 1.143 imprese con una donna al comando: l’arretramento è pesante – 16,8%, rispetto al 2019. Pesante soprattutto l’impatto dell’emergenza sanitaria sulle imprese femminili di giovani donne under 35, che perdono in un anno 162 imprese, su un totale al 31 dicembre 2020 di 2.260 unità.
Il mio punto di vista
Dal mio punto di vista bisogna analizzare con chiarezza quali azioni servono realmente per sostenere la componente femminile del mondo imprenditoriale, ossia garantire un rafforzamento degli incentivi alle imprese, in cui ai tradizionali contributi per le Pmi a guida femminile si devono affiancare strumenti di finanziamento per le startup. Donne come me si sono sentite frenate dalla pandemia nella voglia di mettersi in proprio, le donne d’impresa mostrano una maggior necessità di supporto economico e finanziario. Dunque hanno bisogno di un migliore accesso al credito. E ancora, assistenza alle imprese, con il sostegno a incubatori e acceleratori specializzati, luoghi nei quali la donna che decide di avviare un’impresa trovi aiuto, competenze, indicazioni.
Parità di diritti
E’ inutile negarlo: siamo noi donne a pagare più degli uomini i danni della pandemia sanitaria e della ricaduta economica. Chi, nonostante la pandemia, ha avuto la possibilità di lavorare a pieno regime, si è poi rivolto a uomini per lavori come comunicazione, accesso al credito o altre attività. E tutto senza considerare che le donne si dividono spesso tra il loro lavoro da imprenditrice e quello di madre. Penso, solo per fare un esempio, a quanto hanno rimesso le estetiste, per la stragrande maggioranza donne, che hanno investito nella loro attività. Tra chiusure, lockdown, perdita di clienti, quante di loro hanno dovuto chiudere? Stesso discorso può valere per le scuole di danza. Tutte donne che hanno dato l’anima per realizzare il loro sogno e ora si vedono costrette a chiudere e a lasciare a casa i propri dipendenti. E in certi campi, come l’estetica, parliamo sempre di donne. Donne, ragazze, madri, che si sono viste ridimensionate il lavoro, lo stipendio, che hanno dovuto accettare la Cig con percentuali dieci volte superiori a quelle dei loro colleghi maschi. Mi spiace dirlo ma se si invoca la parità di diritto essa va rispettata. Una donna si impegna più di tre volte rispetto al suo collega uomo eppure non è trattata (nemmeno economicamente) allo stesso livello.
Parità di diritti
E’ ora di far sentire la nostra voce e far capire che, spesso, essere donna è un vantaggio. Perchè rispetto a tutti i nostri colleghi uomini, forse noi sappiamo cosa vuol dire essere in grado di lavorare su più fronti, essere multitasking, ma abbiamo anche quella sensibilità che è il nostro vantaggio. Non dobbiamo essere sempre noi a rimetterci. Per una donna imprenditrice anche l’accesso a un credito è più complicato. Allora la domanda che mi pongo è questa? C’è qualcuno che si è mai preso la briga di verificare se effettivamente otteniamo meno risultati? Non credo. La meritocrazia non può essere solo una parola sul vocabolario. Noi imprenditrici non valiamo di meno. Metteteci alla prova. E sono sicura che i dati si ribalteranno.