Porto Marghera. Da cent’anni a oggi. Ultima parte
Si conclude oggi l’affascinante viaggio nei 100 anni di Porto Marghera. Dagli anni ’80 ai giorni nostri.
Porto Marghera va contro tendenza. La formidabile espansione della chimica col Moplen aveva significato la superproduzione per i prodotti di massa a basso costo e a facilissima esportazione. Ora incomincia il declino, l’economia è cambiata, c’è meno posto per industrie inquinanti e ad alta concentrazione operaia. Si punta sulla riduzione della manodopera e si trasferiscono le produzioni considerate nocive nei paesi in via di sviluppo.
Porto Marghera rappresenta sempre più l’anomalia nel sistema Nordest, mentre gli impianti si confermano meno sicuri e la paura cresce nelle città attorno. C’è più concreta la minaccia di fughe di gas legata ad alcuni cicli di lavorazione, soprattutto il Fosgene.La paura si rivela la mattina del 5 marzo 1997, quando una nube tossica si sprigiona dall’incendio di un essiccatoio della Montefibre. Si tratta di Acrilonitrile la cui combustione provoca ricadute di cianuro.
Intanto, incomincia il calo degli occupati: da 29 mila a 18 mila e nel Duemila saranno meno di diecimila. Crolla soprattutto il settore della chimica: in trent’anni da 15 mila a poco più di duemila lavorati, soffocati in una crisi non gridata, ma reale e schiacciante.
Gabriele Bortolozzo è un operaio che appena andato in pensione nel 1990, a 56 anni, dedica ogni minuto a raccogliere testimonianze sulle vittime del CVM (Cloruro di Vinile Monomero) un gas incolore e inodore altamente cancerogeno. Si scoprirà che ha provocato morti tra operai esposti per anni alle esalazioni. Nel processo che seguirà, il pm Felice Casson contesta 157 casi di morte e 103 di malattie riportabili al CVM che ha provocato tumori al fegato, ai polmoni, al sistema linfatico, al sangue.
Il processo, dopo 150 udienze, si conclude con l’assoluzione di tutti i 28 ex dirigenti della Montedison e dell’Enichem perché “il fatto non costituisce reato”. La spiegazione della sentenza è semplice: soltanto dal 1973 si conoscono gli effetti cancerogeni del CVM, quanto è accaduto prima non è punibile. C’è un risarcimento di 271 milioni di euro per danno ambientale nell’area di Porto Marghera.
Bortolozzo non vedrà mai la conclusione. Muore nel 1995 in un incidente, investito da un camion mentre tornava a casa in bicicletta. E’ rimasta un’associazione a suo nome e porta avanti la battaglia.
Quello che resta della Montedison di Gardini, morto suicida con un colpo di pistola nei giorni di Mani Pulite, ingoiata da debiti, tangenti e intrighi societari, adesso è sotto controllo di cordate e comprendono altre società pronte per i mercati europei e la globalizzazione. Oggi Porto Marghera ha meno di cinquemila dipendenti e l’indotto non c’è più. Le battaglie sindacali nelle fabbriche che chiudono quasi non fanno notizia, non è bastato nemmeno che una donna salisse per protesta con nove colleghi su camini alti 150 metri.
Marghera è entrata rapidamente in un processo di deindustrializzazione, con le grandi fabbriche che chiudono tutte. Delle vecchie regge soltanto la Fincantieri, ex Breda, grazie alle nuove grandi navi da crociera.
Porto Marghera per anni si è gonfiata, ha subito contraccolpi di ogni genere, da eccesso di manodopera a surplus di indotto, da asfissia, da terrorismo. E ha pagato i conti in costi umani: in disoccupati e spesso in vite umane.
Ora il grande affare, il business del Duemila sono le bonifiche. Porto Marghera è una delle aree più inquinate d’Italia come è scritto chiaramente nel “Regolamento per le bonifiche dei siti inquinati”. Sono già stati stanziati centinaia di milioni e altre centinaia di milioni sono pronte. Si prevede un impegno di quasi tre miliardi di euro pubblici e un miliardi di euro di investimenti privati.
Tanti soldi per creare lavoro, indotto, speranze. Si tratta di ripulire duemila ettari di terreno inquinato nei decenni per l’avanzamento della linea di costa costruito impiegando i rifiuti della lavorazione, per le emissioni incontrollate di varie sostanze, specie dei derivati del CVM.
Edoardo Pittalis