L’occupazione cresce, non gli stipendi
Perché cresce l’occupazione, ma i salari restano al palo creando per altro un grattacapo ai banchieri centrali visto che l’inflazione non risale ai livelli desiderati (vicino al 2% per la BCE)? Colpa della precarietà e del part-time, che frenano l’aumento degli stipendi. Lo sostiene il Fondo monetario internazionale, in uno dei capitoli analitici del World Economic Outlook. “In molte economie avanzate, la crescita dei salari nominali resta marcatamente sotto i livelli precedenti la grande recessione del 2008-2009”, si legge nel documento, mentre la disoccupazione “si sta avvicinando” ai tassi pre-crisi “o “è addirittura scesa sotto quei livelli”. Sottolineando questa dicotomia, gli economisti del Fondo evidenziano come “la crescita contenuta dei salari sia avvenuta in un contesto di più alti tassi di lavoro part-time involontario, di una accresciuta quota di contratti di assunzione a tempo e di una diminuzione di ore lavorate” per addetto.
“E se il lavoro part-time involontario può aver supportato la partecipazione al lavoro” ha al contempo “indebolito la crescita dei salari”, si osserva nel rapporto. Nelle economie “dove dal 2008 il tasso di disoccupazione è ancora apprezzabilmente sopra la media degli anni 2000-2007”, cioè quelli prima della crisi, Italia inclusa, “l’occupazione part time involontaria ha agito come un ulteriore significativo freno per i salari” mentre i convenzionali fattori di debolezza del mercato del lavoro “rappresentano circa la metà del rallentamento”. E in queste economie “è improbabile” una ripresa dei salari se le fragilità del mercato non diminuiranno in modo significativo e ciò richiede, avverte l’istituzione di Washington, “il prosieguo di politiche accomodanti per sostenere la domanda aggregata”.
Che l’Italia rischi di trovarsi in questa spirale è uno spauracchio concreto: i contratti di lavoro part-time involontari e a tempo determinato da noi sono cresciuti in modo esponenziale, mostrando nel 2016 aumenti record tra le economie avanzate, rispetto ai livelli pre-crisi, ovvero alla media degli anni dal 2000-2007. Il Fmi indica come nonostante il miglioramento dei livelli occupazionali, le retribuzioni orarie in Italia abbiano subito una contrazione delle crescita di circa il 3% nel 2016 rispetto ai valori medi del 2000-2007. Nel rapporto si evidenzia come “virtualmente in tutte le economie avanzate la crescita dei salari nominali (misurati come compenso orario nominale comparabile tra i vari Paesi) rimanga sotto i range pre-grande recessione”.
A.V.