Un racconto sugli Arditi
Inizia oggi un’avventura. Un racconto a puntate illustrato dal disegnatore Luca Pozza.
“La scomparsa di Pickles McCarty” (The Woppian Way) è un breve racconto scritto da un giovanissimo Hemingway ad appena un anno dal termine della Grande Guerra. Durante il conflitto Hemingway aveva svolto l’attività di ambulanzista della ARC e aveva soggiornato a Bassano del Grappa nella bellissima Villa Cà Erizzo (oggi Luca) che è l’attuale sede del Museo Hemingway e della Grande Guerra. Questo racconto parla di un pugile italo-americano in odor di mondiale che allo scoppio della guerra decide di tornare in Italia per arruolarsi nel corpo degli Arditi. Per varie ragioni la storia è rimasta inedita fino agli anni ’70 quando il manoscritto fu ritrovato da un bibliofilo di Detroit. Dagli appunti lasciati da Hemingway si deduce che il racconto avrebbe dovuto far parte di un romanzo dedicato all’impresa di Fiume di Gabriele D’annunzio. Un romanzo che purtroppo non fu mai scritto. A Bassano e a Cittadella Hemingway frequentò gli Arditi del IX Reparto d’assalto del magg. Giovanni Messe e fu dagli esaltanti resoconti di quei soldati che venne a conoscenza dei tanti dettagli presenti nel racconto. Il sottotitolo “The Woppian Way” è un gioco di parole intraducibile che unisce lo slang “Wop” che sta per “italiano” con la “Via Appia” e la “strada Cadorna” (una ex statale che collega Bassano e Belluno) lungo la quale si svolgono i fatti finali del racconto. Il tutto è illustrato da alcuni miei disegni.
di Luca Pozza
La scomparsa di Pickles McCarty (The Woppian Way)
Ai tempi in cui mangiavamo il frutto dell’albero dell’attesa guardinga, quando ancora la gente si preoccupava del come finivano i «Giants», prima ancora che la ventata della coscrizione si formasse nella caverna di Eolo, oh, ai bei tempi quando George Creel pensava solo a sfamarsi e a non contar frottole, c’era un pugile di nome Pickles McCarty.
E al nome di Pickles bisogna aggiungere qualcosa. Pickles era uno dai pasti ridotti a uova e prosciutto, a spezzatino di maiale e fagioli, era un pugile di rincalzo e in prova; per dirla in breve, uno di quei miserabili lottatori che si guadagnavano da vivere come comparse. Egli era uno di quei giovani, pieni di buona volontà, che puoi vedere se vai a una serata di pugilato troppo presto per l’incontro di prestigio, e che con copioso sangue e rotear di braccia si ammazzano di botte rincorrendosi sul quadrato, per un ridicolo minimo garantito.
Pickles, come lottatore (quasi stavo per scrivere pugile), ci aveva rimediato un naso un po’ appiattito un risentimento contro gli omaccioni rubizzi in abito da sera che strepitavano per vedere sangue, e il nome di McCarty. Poiché un cantante d’opera deve essere un europeo continentale, una società per azioni un corpo senza anima, e per forza un menapugni è un irlandese. Quando Pickles protestò con O’Leary, che doveva guidare i suoi destini pugilistici, che il nome di Neroni gli era stato a pennello per venti anni, lo Snake (serpente) gli rispose: «Senti, italianaccio! Pensi tu che il pubblico voglia vedere un tizio con quel nome di terrone a fare a pezzi Murphy, un bravo ragazzo irlandese, che magari prima si chiamava Goldstein? Non lo vuole. Ciò che vogliono sono due ragazzi irlandesi che si sfidano, e allora si che è un combattimento leale. E con l’aiuto della stampa e del Padreterno ne potremmo fare uno scontro memorabile. I tifosi si divertono a vedere sangue e smorfie e, come nei film, sono sempre dalla parte di Nick. Capita come con quegli zotici del Maine e dell’Illinois, che si scatenano tutti non appena sentono suonare Dixie. Piccolo Neroni, ora hai un altro nome. Sei Pickles McCarty. E ti auguro di avere miglior fortuna del povero Luther».
E così fu battezzato Pickles, e spuntò sulla Costa californiana come McCarty, e cominciò gradualmente a brillare. Nell’incontro di semifinale con Young Sullivan gli fu facile superarlo e divampò di luce propria, giungendo al centro incandescente della pubblicità nazionale… e poi disparve. E possa la sparizione e apparizione di Pickles McCarty togliere un po’ di macchia che c’è ancora sul ring per il modo con cui la Montagna del Kansas e l’Ebreo di Gotham e altri loro compari hanno cullato i pacifisti in questi ultimi tre anni…
Sulla Costa la carriera di Pickles fu folgorante. Non era all’inizio che un ragazzotto aspirante pugile, le cui sole risorse risiedevano in un corpo vellutato e forte come l’acciaio e in un cuore combattivo; era un vero genio nell’incassare, e nel ring incassare significa un’abilità sillabata di parolacce, di continuare a batterti anche quando uno più forte di te ti rompe il naso, ti chiude gli occhi, t’inchioda la bocca e te la demolisce, ti maciulla i connotati, e nel frattempo continua a martellarti allo stomaco e alle reni. Ma sotto la guida di Snake egli era diventato il secondo campione dei mediomassimi del mondo.
Snake era stato l’allenatore di Ruby Robert, ai tempi della grande carriera de Lo Screziato. Egli insegnò a Pickles come far scrivolare via, con uno scatto della testa, i colpi che prima incassava. Trasformò il sinistro di Pickles, da un lento stantuffo aggirante, in una stoccata che saettava nella faccia dell’avversario con il guizzo di una mitraglia. E mentre il sinistro pugnalava e faceva l’uomo a pezzi, il destro, quel destro che Snake sognava («…dieci centimetri dalla mascella, e potrebbe benissimo essere una bomba di profondità»), stava sempre lì come un cannoncino camuffato. Era un pugno mai più visto dai tempi del Campione della Cornovaglia.
Metti quelle due mani su una struttura a forma di squadra a T, mettici un 72 chili di concentrato di colpi di prima qualità, sormontato da una faccia sorridente d’italiano sotto un ciuffo di capelli neri, e in più lo scatto di un Corbett e il cuore di un Diavolo della Tasmania e avrai Pickles McCarty, nato Neroni, nell’anno di grazia della nostra Neutralità 1915.
Sorridendo come se niente fosse, egli, con quel suo poderoso pistone sinistro, aveva ridimensionato mediomassimi, pure sorridendo li aveva mandati al tappeto a un cenno di Snake dall’angolo. Ora c’era solo il Campione del mondo da battere… Il Campione, un po’ appesantito, e lui solo sapeva quanto fuori forma, come tutti i campioni fece sapere a Pickles di darsi ancora da fare, per farsi un nome. Pickles, che il nome se l’era fatto più del Campione, gli fece sapere, attraverso Snake e la stampa; che se non accettava la sfida egli avrebbe reclamato il titolo. Le pagine sportive dei giornali ne furono piene. I press agents servono apposta per questo. E sul più bello Pickles sparì.
Navigati commentatori sportivi considerarono dapprima con sospetto quella sparizione. Ma Snake li convinse. Snake era disperato.
«Non è una balla giornalistica. la cruda realtà. Ma che stupido! Maledetto italiano stupido! Il mio avvenire economico. L’unico vero lottatore che ti trovo, e ora mi molla. Un altro piccolo sforzo da niente e avrebbe avuto il mondo ai suoi piedi, e lui invece molla tutto. Certo che so dov’è. Non ne sono proprio sicuro, non ci credereste. La direste una balla giornalistica. Basta, non parliamone più. Quel vile d’un lavativo».
Così, per alcuni giorni, il pubblico sportivo rimase con il fiato sospeso a chiedersi cos’era successo a Pickles McCarty, poi si adagiò a contemplare un sindacato che cercava di combinare un incontro tra la Montagna del Kansas e un altro sfidante, meticolosamente scelto e pompato dalla stampa.
to be continued….