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Bepi Vigna parla di Nathan Never Anno Zero

Giugno 1991, attesissimo da migliaia di lettori debutta il primo numero di Nathan Never, prima serie mensile fantascientifica pubblicata dalla Sergio Bonelli Editore, creata da tre giovani, ma già molto apprezzati dal pubblico grazie al loro contributo su serie come Martin Mystere e Dylan Dog, autori sardi: Michele MeddaAntonio Serra e Bepi Vigna. Venticinque anni dopo il mondo (e non solo quello del fumetto) è cambiato radicalmente, ma l’agente speciale Alfa è sempre impegnatissimo nella sua lotta contro il male, e sebbene con qualche acciacco festeggia un traguardo eccezionale. Per l’occasione la casa editrice ha varato (e continuerà a riservarci sorprese nel prossimo futuro), una serie di progetti speciali. Il primo  tra questi è il lancio di una miniserie di sei numeri intitolata Nathan Never Anno Zero, sulle cui pagine Bepi Vigna e Roberto De Angelis esploreranno il passato dell’eroe portando alla luce particolari inediti e “dimenticati” che avranno effetti anche sul suo futuro. Un vero e proprio evento, dunque, di cui noi de ilsestantenews.it parlato con Vigna, sceneggiatore della miniserie.

Di quanto tempo e quante chiacchierate avete avuto bisogno tu, Michele Medda e Antonio Serra per dare un volto, una storie e un background al personaggio affinché debuttasse così come abbiamo imparato a conoscerlo nel 1991? “Il processo creativo di Nathan Never è stato abbastanza articolato e lungo, ha richiesto almeno un anno di chiacchierate e riflessioni, prima che nel 1989 diventasse un progetto. Eravamo coscienti che occorresse proporre all’editore qualcosa che, seppure nuovo, non fosse distante dallo spirito delle altre testate; quindi un fumetto d’avventura, con dei meccanismi narrativi che facilitassero la serializzazione, con un personaggio forte e dei comprimari ben caratterizzati. Poiché in quel momento la Bonelli non aveva una serie di fantascienza, ci siamo orientati su quel genere, ma evitando la space-opera, che ci sembrava troppo abusata. Il riferimento al tipo di ambientazione alla Blade Runner è venuto quasi spontaneo. Volevamo fare un fumetto che fosse il riflesso (per quanto esasperato e deformato) del mondo contemporaneo”.

Quanto c’era di te nel Nathan delle origini e quanto c’è di te in quello odierno? “Di ogni autore, Nathan porta con sé qualche aspetto caratteriale e anche qualche piccola mania. E siccome io Antonio e Michele siamo persone molto diverse, con differenti gusti e idee e soprattutto ognuno con una sua particolare “visione della vita”, alla fine il risultato è stato un personaggio sfaccettato, complesso, con qualche contraddizione… e forse per questo anche più vero. Nathan ha qualcosa di ogni suo autore”.

 

 

Nathan Never è stato creato da un gruppo di amici molto affiatati, ma nel corso di questi anni è stato scritto e raccontato da molti autori diversi. Come ci si rapporta al contributo e alle evoluzioni apportate da altri? “Avere dei collaboratori è stata una necessità dovuta al fatto che le testate e si sono moltiplicate e tre sceneggiatori non potevano far fronte alla mole di lavoro necessaria per fare uscire Almanacchi, Speciali e i vari spin-off. Posto che un controllo e approvazione da parte degli autori sulle varie story-line c’è sempre stato, con gli altri sceneggiatori Nathan ha preso spesso strade avventurose che, qualche volta, sono parse lontane dalla nostra iniziale concezione della serie: in certi periodi c’è stata una prevalenza dell’azione sulla storia, per esempio, o penso ad alcune svolte verso il fantasy. Questo, però, ha permesso di soddisfare le esigenze di un pubblico eterogeneo e ha dato anche vitalità alla serie. Ora è arrivato il momento di tornare un po’ alle origini, sistemando anche tutte quelle apparenti piccole sfasature nella continuity del personaggio: apparenti, perché in realtà (e per fortuna) c’è un “grande disegno” che ci permette di mantenere delle linee logiche ben precise”.

Il vostro progetto di una serie di fantascienza moderna e attuale ha avuto l’innegabile merito di convincere Sergio Bonelli a lanciare la sua prima serie mensile sci-fi. Dopo venticinque anni, naturalmente, quella spinta propulsiva  si è affievolita. Cosa bisognava fare per rilanciare Nathan? “Siamo più che mai convinti che Nathan Never come personaggio abbia un incredibile potenziale narrativo che possa funzionare anche con pubblico di generazioni differenti. Si tratta di farlo conoscere a quei lettori che negli anni Novanta non l’hanno incontrato, perché non erano ancora nati o perché erano troppo giovani. Allo stesso tempo vogliamo che i vecchi lettori continuino a riconoscersi nel personaggio. L’operazione Anno Zero, che racconta, da una prospettiva differente e con molti retroscena inediti e sconvolgenti, ciò che accadde a Nathan quando diventò un agente speciale, va proprio in questa direzione. Il tono delle storie è un po’ differente da quello della serie generale, più cupo e duro”.

Nathan NeverAnno Zero rappresenta un modo per tornare alle origini del vostro eroe? “E’ esattamente questo, d’altra parte, nell’ideare la miniserie, io ho tenuto ben presente il lavoro fatto a suo tempo da Byrne con Superman. Ma in Anno Zero c’è anche qualcosa in più: ridefiniremo i contorni della serie, coinvolgendo anche i lettori, che diventeranno parte attiva dell’avventura che stanno leggendo e, una volta arrivati alla fine dei sei episodi, si renderanno contro di essere entrati in un gioco narrativo molto particolare, che li coinvolgerà così come coinvolge Nathan. Insomma: tutto quello che sappiamo su Nathan potrebbe essere differente da come ce lo siamo sempre immaginato. Ma attenzione, nessuno dovrebbe restare deluso, né i vecchi né i nuovi lettori”.

Narrare e riordinare le origini di Nathan è anche un modo per riappropriarsi del personaggio? “Nel mio caso assolutamente sì. Mi interessava ritornare al Nathan che piaceva a me, molto simile a quello dei primissimi numeri, ma proponendo delle situazioni narrative più adeguate ai tempi e che tenessero conto anche di tutto ciò che i lettori ormai hanno assimilato del personaggio. Volevo fare una storia corposa, più matura di quelle che solitamente finiscono sulla serie regolare. Come in tutte le mie sceneggiature, cerco sempre di creare impianti avventurosi e fantastici che abbiano un rimando alla realtà, che possano prestarsi anche a una lettura allegorica, con situazioni narrative che possano anche costituire una metafora del presente e prestarsi a una lettura su diversi livelli”.

Cosa altro dobbiamo aspettarci dalle celebrazioni di questo anniversario? Leggeremo anche il contributo di Michele Medda e Antonio Serra? A che punto sono le loro miniserie? Ci puoi rivelare qualcosa in proposito? “Abbiamo deciso di lavorare alle miniserie in totale autonomia ed evitare di condizionarci reciprocamente. So che la miniserie di Michele è a buon punto, so meno di quella di Antonio. Non posso fare nessuna anticipazione, perché le miniserie nascono con l’idea di riuscire a stupire i lettori, quindi sarebbe controproducente rivelare qualcosa”.

 

Gian Nicola Pittalis

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