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Quando i Veneti emigravano per bonificare

La lunga consuetudine dei Veneti a vivere in case sparse, li ha fatti preferire ad altri agricoltori nel popolamento di nuove terre, fuori d’Italia o in ambito nazionale. Così avvenne per le bonifiche pontine, per quelle sarde nell’Oristanese, allo stesso modo di come già era avvenuto per le bonifiche lungo il litorale veneto. Uno spostamento di popolazione durato a lungo: solo verso l’area sarda di Mussolinia, ora divenuta Arborèa, il trasferimento di oltre 200 famiglie contadine venete si compì tra il 1925 e il 1944. La speranza di terra in proprietà, per emanciparsi dallo star soto paron incoraggiava ad affrontare qualsiasi rischio, in patria e fuori.

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Per l’impegno di risanamento delle terre paludose, l’Italia del Novecento si collocherà al terzo posto nel mondo, dopo gli Stati Uniti d’America e i Paesi Bassi, interessando al processo vasti territori d’ogni sua parte, dall’Alto Adriatico alla Maremma toscana, dal Lazio al Mezzogiorno, alla Sardegna. Nei primi decenni del secolo la preoccupazione era quella di strappare terra alle acque stagnanti insalubri, così da disporre di più ampi spazi per la coltivazione, e al tempo stesso ridurre il pedaggio pagato annualmente alla malaria in termini di vite umane. Ancora sul finire degli anni Venti, diecine di vittime cadevano colpite dal morbo. Le politiche conseguenti ricevettero una decisa sollecitazione dal Congresso sulle Bonifiche che si tenne a San Donà di Piave nel 1922, i cui princìpi di salvaguardia dell’ambiente non solo in termini economici ma anche sociali, ispirarono le leggi degli anni successivi: 1923, 1928, e 1933, nota come Legge Serpieri sulla bonifica integrale.

1937 circa - al lavoro - uomini, donne, giovani: armandu casagnac

Nella Venezia Euganea, che fino al dopoguerra comprendeva anche la provincia di Udine, alla vigilia del secondo conflitto mondiale risultavano bonificati 656.250 ettari, di cui: 172.000 in provincia di Udine, 142.000 in provincia di Venezia, 141.000 in provincia di Rovigo, 123.000 in provincia di Padova. Lo sforzo di trasformazione fu grande, applicandosi anche alle ibridazioni, coi nuovi tipi di grano Ardito, Mentana, Villa Glori, ottenuti per selezione genetica dal bravissimo Nazzareno Strampelli, capaci di una resa di oltre 50 quintali per ettaro, contro i 10 che si ottenevano agli inizi del Novecento. Con la riduzione dell’oneroso deficit della bilancia dei pagamenti, dovuto alle importazioni di frumento.

La bonifica non portava solo all’accrescimento delle coltivazioni. Poteva anche indurre nuove attività, al passo con i tempi. Un esempio tipico è quello di Cavazuccherina, che solo qualche decennio dopo sarebbe diventata una delle capitali del turismo balneare, con il nome di Jesolo Lido. In quell’area, i lavori di bonifica, avviati già nel 1903, interessarono un comprensorio di 8.000 ettari. Si era già a buon punto quando sopravvenne la Grande Guerra, e parte dei campi dovette essere nuovamente allagata per fermare l’avanzata nemica dopo Caporetto.

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Nel decennio successivo alla conclusione del primo conflitto mondiale il numero delle famiglie disponibili a trasferirsi nelle zone di bonifica andrà crescendo. A quel tempo, la provincia di Treviso deteneva il primato nazionale delle famiglie con più di 10 figli, residenti in case sparse e piccoli nuclei abitativi. C’erano casi in cui su 6 campi trevigiani (pari a circa 3 ettari) vivevano (malamente) 19 persone; su 33 campi (circa 16 ettari e mezzo) 49 persone, e su 2 poderi di 13 ettari ciascuno campavano 42 e 40 persone. La domanda di terra era forte, con l’unica alternativa dell’emigrazione. L’Opera Nazionale Combattenti e Reduci sarà chiamata a gestire gran parte dei progetti di risanamento e messa a coltura.

Continuava l’epopea degli scariolanti, che a forza di pala e carriole, con l’ausilio di potenti idrovore, renderanno fertili vaste superfici. Già nel 1919 si avviarono i lavori in Sardegna, dove cinque anni dopo sorgeranno i primi nuclei abitativi, e tra il 1927 e 1928 giungeranno le famiglie venete, per lo più dal Polesine e dalla Marca Trevigiana. Mussolinia di Sardegna, dal 17 febbraio 1942 muterà il nome in Arborea.

Ancora nel primo dopoguerra c’erano 40.000 malarici lungo la costa veneto-friulana, con oltre 120 morti l’anno a causa dell’anofele. Ora, si trattava di prosciugare altri 20.000 ettari e di proseguire i secolari lavori di risistemazione idraulica.

Ma lo sforzo maggiore del regime fascista si concentrò sulla vasta area umida laziale nota come Paludi Pontine, dove in soli sei anni – fra il 1932 e il 1938 – sorgeranno dal nulla cinque città: Littoria (poi chiamata Latina), Sabaudia, Pontinia, Aprilia e Pomezia, e singole abitazioni nei 2953 poderi predisposti dall’Opera Combattenti e Reduci, dove s’insedieranno 1762 famiglie di coloni veneti e altre 308 famiglie friulane, costituendo nell’insieme il 70 % dei nuovi residenti, pari a circa 19.000 persone su un totale di 30.000. Nell’ordine, 340 nuclei familiari provenivano dal Trevigiano, 308 dalla provincia di Udine, 276 da quella di Padova, 233 da Rovigo, 228 da Vicenza, 220 da Verona, 114 dalla provincia di Venezia e 29 da quella di Belluno. Su quelle terre, in precedenza avevano lavorato per bonificarle oltre 5000 operai veneti.

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Altra realtà territoriale riscattata dalla malaria e resa fertile fu, nella Maremma grossetana, l’area di Alberese, con poderi di una ventina di ettari affidati a mezzadria a famiglie venete: oltre 1500 persone, con famiglie formate in media da 14 componenti.

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Ancora: in Istria, nella valle dell’Arsa, in prossimità di Albona, e non lontano da Pola, in Altura. Sempre a cura dell’Opera Combattenti e Reduci. Ancora una volta con l’insediamento di Veneti. Che venivano privilegiati sia per attenuare la pressione demografica della regione, sia per la facile adattabilità a vivere direttamente sul podere.

Secondo i criteri stabiliti dall’Opera, erano necessari almeno 4 punti per essere inseriti nelle graduatorie: 1 punto veniva attribuito a ogni uomo adulto, 6/10 di punto per donna, e 4/10 di punto per i minori di più di 14 anni.

L’emigrazione interna prende, per buona parte, il posto dell’emigrazione verso l’estero, che aveva sempre visto il Veneto al primo posto tra le regioni italiane. Il trasferimento in terra di bonifica, a famiglie intere, vedrà in anni successivi altri coloni veneti imbarcarsi per le terre dell’impero africano, dove Mussolini prevede la fondazione di un Veneto d’Etiopia e di una Romagna d’Etiopia. Altri si dirigeranno alla sponda libica. Tutti saranno costretti al rimpatrio pochi anni dopo.

A cura del prof. Ulderico Bernardi, membro del Comitato Scientifico della Fondazione Ca’ Vendramin di Taglio di Po (Rovigo), per il Museo della Bonifica.

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