La volta che Hugo Pratt ci raccontò…
Sono trascorsi oltre 20 anni dalla sua scomparsa, eppure Hugo Pratt è più vivo che mai. A tenerlo vivo sono le innumerevoli riedizioni dei suoi libri, i fumetti dell’amico e collaboratore Lele Vianello, il nuovo Corto Maltese di Canales e Pellejero, gli Scorpioni di Casali e Camuncoli, i libri di Marco Steiner, la biografia a fumetti di Paolo Cossi, le pubblicazioni di tanti giornalisti, le sue stesse opere originali battute nelle aste di tutto il mondo. Ma non solo. Hugo Pratt è tenuto in vita soprattutto da legioni di lettori vecchi e nuovi che rivivono nei suoi fumetti la magia dei suoi racconti e del suo segno inconfondibile e che si riuniscono a migliaia nei gruppi a lui dedicati sui socials networks. Hugo Pratt: un carattere forte, un talento enorme; è stato amato, ammirato, e anche odiato e invidiato, ma per i più, per dirla con Lele Vianello “Hugo Pratt era una malattia contagiosa, e tutti i suoi amici erano contaminati. E c’è chi non si è mai ripreso”.
Quello che segue è un breve stralcio da una intervista registrata al bar dell’Hotel Excelsior durante la Mostra del Cinema di Venezia. Era il 9 settembre 1990.
Nella prefazione del suo libro “L’isola del tesoro” lei parla di suo padre che le augurò di trovare la sua isola. Quell’isola è il fumetto? «Mio padre era un romantico. Lui leggeva, prima di me, i grandi scrittori romantici. Tutti mi chiedono se ho trovato la mia isola nel fumetto! Evidentemente è così, ma è chiaro che il mio lavoro e nell’immaginazione del fantastico, dell’avventura, perché io sono un operatore della fantasia. (…) Io vedo che in questi tempi c’è una tendenza a ritornare ad un certo tipo di cultura. Io sono un conservatore, un tradizionalista, e mi occupo della tradizione avventurosa romantica. Ed è inutile venirmi a dire che questo ritorno alla concezione romantica dell’avventura non serve a nulla, perché se così fosse non si comprerebbero i miei libri e, stranamente, a comprarli sono i giovani e non i vecchi delle generazioni precedenti che sono già morti o si sono rimbambiti».
Le sue avventure hanno sempre una base realistica…«Hanno una base storica perché mi piace far raccontare gli aneddoti storici da coloro che non vengono ascoltati. La Storia l’ha sempre scritta chi aveva il potere di scriverla come voleva, ma se noi guardiamo dalla parte dei vinti vediamo cose bellissime che meritano di essere raccontate. Quanta gente è morta perché era antipatica ai potenti, o a causa di una donna, o per mille altri motivi? Io vado a cercare proprio queste cose, e forse la vera indole dello storico dovrebbe essere questa: cercare l’aneddoto storico e non limitarsi ad una narrazione a grandi linee, di tipo scolastico».
Lei ha portato il fumetto al Grand Palais, a Parigi… «È vero, ed è incredibile perché di solito al Grand Palais ci si va da morti – e se si è stati grandi personalità – e non da vivi. Eppure il fumetto ha potuto entrarci ed è stata la prima volta che il ministro della cultura Francese Lang ha reso possibile un simile evento. (…) Il presidente Mitterand ha persino detto di identificarsi con Corto Maltese e quando il Pilota Laffitte si ruppe le gambe in un incidente, gli portò 13 Kg di miei libri sapendo che il pilota li amava molto. Ti ricordo poi che, sempre in Francia, sono stato dichiarato Cavaliere e Commendatore di Arte e Lettere e ho ricevuto il primo premio nazionale Francese delle Arti Grafiche (…)».
Dopo il fumetto lei ha scritto un libro su Jesuit Joe… «Ho realizzato anche degli storyboards che sono serviti per realizzare il film che è stato girato in Canada (…) Con lo stesso personaggio ho utilizzato la letteratura disegnata, cioè il fumetto, la letteratura scritta, il romanzo, e la letteratura filmata. Una simile operazione non può essere fatta da tutti. io ci sono riuscito perché so trattare con le persone e so sfruttare i momenti giusti».
Vedremo mai Hugo Pratt dietro ad una cinepresa? «Ho fatto l’attore e potrei anche girare un film, ma nel mondo del cinema ci sono dei contratti con le case di produzione che hanno a loro disposizione determinati registi e non possono affidare la realizzazione di un film da 20 milioni di dollari (perché tanto costerebbe un film su Corto Maltese) a uno scrittore di fumetti che secondo loro non conosce le tecniche cinematografiche».
Ogni anno si parla infatti di un film su Corto Maltese. «Già, ma non si fa mai perché cercano sempre di appropriarsi del personaggio per farne quello che vogliono loro. E la colpa non è dei Produttori quanto del regista che non vuole sentirsi solo un mio esecutivo. Se mi venisse concesso il controllo della realizzazione del film con una équipe di tecnici e un regista che seguisse le mie indicazioni e con la possibilità di scegliere gli attori, il film si potrebbe fare. I problemi più grossi me li darebbe il Distributore (…). Se io desiderassi vedere nei panni di Corto Maltese un attore come Keith Carradine il Distributore si opporrebbe subito dicendo che in Italia non incasserebbe e vorrebbe avere magari un attore con la faccia di Celentano che invece fa “cassetta”».
Lei viene identificato con Corto Maltese! «Vengo identificato con lui perché lo scrivo!»
Penso anche perché nei suoi fumetti porta le sue esperienze personali. «Naturalmente! Chiunque scrive si serve delle sue esperienze. Mi sembra molto più facile, per uno scrittore, partire dalle esperienze che ha vissuto piuttosto che parlare di cose completamente inventate!».
Per scrivere le sue storie che lingua usa? «Io scrivo in un italiano che si imbastardisce con dei termini spagnoli, inglesi, con delle grafie in arabo, ma poi ritrovo tutto. Sono abbastanza abituato a visitare le varie lingue e finisco per scrivere male, con parole in spagnolo che mi risultano più facili per esprimere dei concetti che in italiano coinvolgerebbero un giro di frasi».
Nella sua autobiografia ricorre anche al veneziano… «La mia autobiografia l’ho scritta a flash perché i ricordi che mi tornavano in mente non avevano un ordine preciso; ordine che ho dato in seguito per unire il tutto. Non è facile ordinare tanti ricordi perché dall’Africa passo a parlare dei tedeschi, all’Argentina ecc. Ci sono tante maniere di raccontare e io ne conosco tantissime. Diciamo che per me l’importante non è tanto l’ortografia quanto la sintassi».
Come è cambiato nel tempo Hugo Pratt? «Non sono molto cambiato da una volta. La mia evoluzione è avvenuta nel segno grafico, nella maniera di raccontare e di fregarmene di tutti. Questo è possibile anche perché ho un’età che mi permette una libertà che prima non avevo. Adesso faccio delle cose che il pubblico accetta o meno. Io non sono mai stato facile per il pubblico che mi ha amato o odiato, ma non c’è mai stata indifferenza verso i miei lavori. Io seguo il mio segno zodiacale, i Gemelli, che è bianco e nero, cattivo e buono… e ho un mestiere che più che un artista mi fa sentire un artigiano perché lavoro in équipe con alcuni collaboratori che mi aiutano nei disegni, nei colori, nel lettering, nelle cose meccaniche come gli aerei o le macchine, che so disegnare anch’io, ma che mi farebbero perdere troppo tempo. Io preferisco disegnare il deserto e il mare che risolvo con la linea dell’orizzonte. Come un astratto. Se io potessi far sognare i miei lettori con una sola linea sarebbe l’ideale».
nb: le immagini sono un gentile omaggio di Luca Pozza a Hugo Pratt
di Luca Pozza